Archivi del mese: Gennaio 2013

11 anni dopo

Anche oggi pioggia e nevischio, come nel 2002. Lo ricordo come se fosse successo  pochi minuti fa. Stavo andando al lavoro quando mi ha chiamato Gloria sul telefonino. Ero sulla Cortina d’Ampezzo e stavo guardando dei piccoli accumuli di neve sul ciglio della strada: a Roma non era e non è ancora uno spettacolo frequente, nonostante la nevicata dello scorso anno. “Ha chiamato tuo fratello, ha ricevuto una telefonata dall’Ospedale, sembra che le condizioni di tuo padre si siano aggravate”. Il messaggio era fin troppo chiaro, facciamo questo mestiere da troppi anni per non sapere cosa vogliano significare quelle poche parole. Avevo memorizzato il numero del reparto dove papà era ricoverato e, prendendo il coraggio a due mani, ho chiamato. Mi sono presentato al collega e, senza giri di parole, gli ho chiesto: “Mio padre è morto, vero?”, ricevendone purtroppo conferma. Ricordo le lacrime dei ragazzi, allora bambini, quando sono tornato a casa dopo aver avvertito Gloria, le valigie preparate in fretta e furia, l’arrivo a Fiumicino per scoprire che non c’era nessun volo Alitalia previsto fino al pomeriggio inoltrato per Reggio Calabria. Osservando il tabellone delle partenze ho scoperto una compagnia aerea mai sentita prima, Air Vallée, che aveva un volo in partenza dopo una mezz’ora per Reggio. Era il volo inaugurale, ma credo che a questo ne siano seguiti solo una decina. Poco dopo il decollo con un giocattolino, un Atr 42, becchiamo un vuoto d’aria durato una decina di secondi, o almeno così ci è sembrato, con una paura bestiale di venir giù e fare bingo. Mia figlia Serena, 7 anni, a cui avevo detto che nonno era andato in cielo e che l’avrebbe guardata da lassù, appena atterrati, mi dice: “Papà, io ho guardato sulle nuvole, ma nonno non l’ho visto”. E poi tutto il resto, mamma disperata, il funerale, gli amici che sono stati meravigliosi nel testimoniare fattivamente il loro affetto …. Ed il senso di vuoto, la mancanza che ancora oggi, 11 anni dopo, si sente. Chi ha avuto la fortuna di conoscere mio padre sa di cosa parlo. Era per noi il faro e, purtroppo, l’ho capito tardi, quando son venuto a Roma a studiare e mi son trovato a gestirmi da solo. Lui aveva vissuto una esperienza simile, quando giovanissimo rimase orfano, primo di 5 figli, ed andò a studiare in collegio a Montepulciano, in Toscana. Probabilmente fu allora che nacquero quelle sue fissazioni, da ragazzo io le consideravo tali, di essere tutti insieme a pranzo e a cena, considerandoli momenti di unione familiare e comunque di confronto. E quanto mi incazzavo allora a dover rispettare gli orari, a non poter stare ancora con gli amici perché costretto a tornare a casa. Ancora ricordo le discussioni e lui assolutamente irremovibile, tranne ovviamente occasioni motivate. E quanto mi mancavano, come rimpiangevo quei momenti, i primi anni a Roma quando mi ritrovavo da solo! Ma indipendentemente da questo, se riavvolgo il nastro della mia vita, nei momenti importanti papà lo rivedo sempre al mio fianco, anche se nel quotidiano era spesso fuori casa, perché lavorava tutto il giorno. Ma era lui ad accompagnarmi la domenica alle partite quando cominciai a giocare alla scuola calcio, alla Matteotti. Ed era il suo il giudizio che più mi premeva ascoltare, ancor prima di quello dell’allenatore. Ricordo i consigli pratici, gestionali, quando da caposquadriglia avevo da organizzare le attività o le giornate ai campi dei miei ragazzi: quante idee che tirava fuori! Lo rivedo alla mia maturità, quando, senza dirmi niente per non farmi agitare, prese un giorno di permesso e venne ad ascoltare l’esame per poi abbracciarmi alla fine, felice non solo per il risultato, ma per come avevo gestito una certa situazione che si era determinata con il presidente di commissione. “Oggi ho avuto la conferma di avere un figlio maturo”, mi disse e la cosa mi colpì, sia per la frase che ovviamente mi fece piacere, sia per la manifestazione d’affetto, l’abbraccio, fatta in pubblico. Papà era molto riservato nei suoi sentimenti e non gli piaceva esibirli. Da quel che ricordo, ho memoria di pochi baci o abbracci con mamma, eppure la adorava. Era il suo modo di essere, perciò quella reazione con me mi colpì parecchio.

Fu lui ad accompagnarmi a Roma, all’Università. Ed era sempre lui, in maniera devo dire abbastanza discreta, a stimolarmi nei momenti di stanchezza nello studio, anche dimostrando quanto costasse, sia in termini economici che di vita pratica, mantenermi fuori. Viaggiava ogni giorno da Reggio a Paola, in provincia di Cosenza, dove ricopriva un ruolo dirigenziale che gli consentiva di guadagnare qualcosa in più e di affrontare con maggiore serenità le spese legate alla mia esperienza romana. Fu forse per questo che il più bel regalo che gli potessi fare è stata la laurea nei 6 anni canonici. Non l’ho mai visto così felice come quel giorno: io, figlio di ferroviere, ero diventato un medico.

E’ stato lui a dirmi le parole più sensate qualche anno dopo, quando ero a pezzi per la fine di una storia sentimentale in cui credevo molto e fu lui il primo a cui feci conoscere Gloria, una sera che era a Roma per impegni sindacali.

E poi, dopo la pensione, come una sorta di maledizione, tutti i vari problemi di salute che lo hanno assillato negli anni, mitigati solo quando aveva vicino i suoi nipoti, la cui sola presenza aveva il potere di farlo sentire sano, di dargli la carica.

Quante chiacchierate telefoniche, a commentare eventi politici, a chiedere consiglio su come muovermi in problematici rapporti lavorativi, o anche semplicemente per raccontargli della Reggina, specie delle partite in serie A, in quello stadio dove andavamo insieme quando avevo 6-7 anni.

E poi  l’ultima malattia, la polmonite non diagnosticata dai colleghi dell’Ospedale di Reggio e scoperta quando ormai era troppo tardi. Eppure sembrava che i colleghi del Morelli ce l’avessero fatta, stava decisamente meglio. L’ultima volta che l’ho visto da vivo si era alzato per cenare, ero andato a trovarlo  in Ospedale prima di ritornare a Roma, stava bene, abbiamo scherzato anche con gli altri ricoverati nella stanza; gli ho sbucciato una mela e l’ho anche preso in giro perché se ne approfittava. Che bel sorriso che facesti papà, ero confortato, convinto che ce l’avresti fatta e ci saremmo rivisti a casa. E invece a casa non sei più tornato …..

Ci manchi Lorenzo, anche se son passati 11 anni

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