Sono passati 39 anni da quel 14 febbraio del 1978, il giorno in cui il nostro Baloo, don Mimmo Morabito, è tornato alla Casa del Padre.
Tanti anni, tantissimi, eppure ha lasciato, nonostante la sua giovane età, appena 33 anni, un ricordo indelebile ed una traccia incancellabile in tutti noi che abbiamo avuto la fortuna, la grazia oserei dire, di conoscerlo e di camminare al suo fianco per un tratto sia pure breve del nostro sentiero. Sono passato a trovarlo qualche giorno fa, al cimitero, come faccio praticamente sempre tutte le volte che vado a salutare i miei cari che non ci sono più. Bella la sua foto in divisa, con il vecchio fazzolettone del RC1, il nostro gruppo, sempre bello il suo sorriso. Pesante nella vita di oggi il motto scout sulla sua tomba, ESTOTE PARATI Mi sono chiesto, senza riuscire a rispondere, se io sono pronto. Non lo so, probabilmente, anzi, certamente no.
Ma cosa ci spinge ancora a ricordare Mimmo dopo quasi 40 anni dalla morte? Difficile far capire a chi non ha vissuto quegli anni intensi cosa abbia rappresentato per noi. Mi piace pensare che lui sia stato il testimone per eccellenza del messaggio religioso e del messaggio scout.
Mimmo era la fede cristiana incarnata in una persona reale, fede testimoniata e vissuta con estremo impegno, e non soltanto perchè era un sacerdote. Mimmo era carità, era attenzione ai deboli, era conforto per gli ammalati nel corpo e nello spirito, attento nel cogliere i momenti di debolezza e ad intervenire per sorreggerti o per spingerti avanti, era sempre pronto ad anteporre gli altri a se stesso, umile fra gli umili, incrollabile nelle sue certezze in Cristo e nella Vergine Maria, nella nostra Madonna degli Scout.
Ed era l’incarnazione dello scoutismo, principalmente nello spirito di servizio per gli altri, nello spirito di comunità, nell’amore verso la natura, nello spirito d’avventura che lo spingeva a condividere con noi anche le Route più faticose. Era l’allegria contagiosa anche nei momenti più duri (“lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà”), era l’amico sempre disponibile se avevi voglia di parlare con lui, era, per usare l’espressione che spesso utilizza Papa Francesco, “un costruttore di ponti”.
E’ stato testimone di impegno, fino allo sfinimento: sembrava che avesse trovato il modo di dilatare le 24 ore della giornata: la parrocchia, la scuola con il gruppo di giovani che era riuscito a creare anche lì, gli scout che lo coinvolgevano a tutti i livelli, dai lupetti fino alla Comunità di Clan, non soltanto nel RC1. Per chi non ha vissuto quegli anni, tanto per far capire gli ordini di grandezza di cui si parla, il solo Riparto Aspromonte nel 1974 contava un’ottantina di iscritti divisi in 5 squadriglie, con una media di almeno una settantina di presenti durante le varie attività. E parliamo solo di un Riparto. Il gruppo contava, vado a memoria, 2 Branchi, 1 cerchio, 2 riparti maschili ed 1 femminile, 2 noviziati ed il Clan. E quasi per tutti Mimmo è stato il “faro”, il punto di riferimento. Siccome questo non gli bastava c’erano anche gli impegni associativi regionali e il ruolo di cappellano nel carcere minorile, dove anche noi siamo stati coinvolti e forse, nel nostro piccolo, siamo riusciti, grazie alla sua intuizione, ad aiutare qualche ragazzo.
E’ stata la garanzia nei confronti dei nostri genitori, esponendosi in prima persona quando si è iniziato a parlare di “co-educazione”. Pensate cosa abbia potuto significare a Reggio Calabria, mentalità certamente allora (e forse anche adesso, ma non posso dirlo vivendo ormai stabilmente a Roma) molto chiusa, far accettare, soprattutto ai genitori delle ragazze, l’idea di far campi insieme ragazzi e ragazze, dormire nello stesso luogo … eppure, grazie anche alla fiducia che i nostri genitori nutrivano in lui, si è andati avanti su questa strada
E’ stato esempio anche nella capacità di organizzare il suo tempo e nell’affrontare con il sorriso le giornate, per quanto piene. Da quel che io ricordo forse solo un paio di volte l’ho sentito lamentarsi per le troppe cose da fare, ma il suo dispiacere era legato alla percezione di non essere in grado di mantenere un impegno.
E forse proprio la volontà di non tradire gli impegni presi con noi, di voler a tutti i costi essere presente alla Route Regionale del 1976, lo ha portato a trascurare quella maledetta macchia sul piede che, anziche essere una stupidaggine, si è rivelato come un aggressivo tumore maligno che è stata la causa della sua morte.
Mi piace ricordarlo sul suo Maggiolino o sulla Vespa con cui si spostava da casa a scuola, in sede, al carcere, dai suoi parrocchiani, ovunque lo conducesse la sua missione. Mi piace ricordare il suo sorriso, le sue “benedizioni” mattutine in tenda al Campo Estivo, quando dopo avere intimato la “sveglia, fiori di gelsomino rampicante!”, aspergeva con l’acqua gelida coloro che si attardavano nel sacco a pelo. Mi piace ricordarlo ai fuochi di bivacco, quando si entusiasmava a cantare o anche ad interpretare “La Santa Caterina” o essere parte attiva alle “totemizzazioni”.
Lo ricordo in piedi, vicino al fuoco di bivacco la sera, quando, dopo aver cantato “Signor, fra le tende schierati”, benediceva tutti noi inginocchiati
Lo ricordo ancora questo canto e ancora oggi mi commuovo: è stato l’ultimo saluto che gli abbiamo dato in Chiesa, attorno alla sua bara, inginocchiati. E spero che lui, dal cielo, ci possa ancora benedire