Archivi del mese: Febbraio 2017

Ricordando don Mimmo Morabito

Sono passati 39 anni da quel 14 febbraio del 1978, il giorno in cui il nostro Baloo, don Mimmo Morabito, è tornato alla Casa del Padre.

Tanti anni, tantissimi, eppure ha lasciato, nonostante la sua giovane età, appena 33 anni, un ricordo indelebile ed una traccia incancellabile in tutti noi che abbiamo avuto la fortuna, la grazia oserei dire, di conoscerlo e di camminare al suo fianco per un tratto sia pure breve del nostro sentiero. Sono passato a trovarlo qualche giorno fa, al cimitero, come faccio praticamente sempre tutte le volte che vado a salutare i miei cari che non ci sono più. Bella la sua foto in divisa, con il vecchio fazzolettone del RC1, il nostro gruppo, sempre bello il suo sorriso. Pesante nella vita di oggi il motto scout sulla sua tomba, ESTOTE PARATI  Mi sono chiesto, senza riuscire a rispondere, se io sono pronto. Non lo so, probabilmente, anzi, certamente no.

Ma cosa ci spinge ancora a ricordare Mimmo dopo quasi 40 anni dalla morte? Difficile far capire a chi non ha vissuto quegli anni intensi cosa abbia rappresentato per noi. Mi piace pensare che lui sia stato il testimone per eccellenza del messaggio religioso e del messaggio scout.

Mimmo era la fede cristiana incarnata in una persona reale, fede testimoniata e vissuta con estremo impegno, e non soltanto perchè era un sacerdote. Mimmo era carità, era attenzione ai deboli, era conforto per gli ammalati nel corpo e nello spirito, attento nel cogliere i momenti di debolezza e ad intervenire per sorreggerti  o per spingerti avanti, era sempre pronto ad anteporre gli altri a se stesso, umile fra gli umili, incrollabile nelle sue certezze in Cristo e nella Vergine Maria, nella nostra Madonna degli Scout.

Ed era l’incarnazione dello scoutismo, principalmente nello spirito di servizio per gli altri, nello spirito di comunità, nell’amore verso la natura, nello spirito d’avventura che lo spingeva a condividere con noi anche le Route più faticose. Era l’allegria contagiosa anche nei momenti più duri (“lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà”), era l’amico sempre disponibile se avevi voglia di parlare con lui, era, per usare l’espressione che spesso utilizza Papa Francesco, “un costruttore di ponti”.

E’ stato testimone di impegno, fino allo sfinimento: sembrava che avesse trovato il modo di dilatare le 24 ore della giornata: la parrocchia, la scuola con il gruppo di giovani che era riuscito a creare anche lì, gli scout che lo coinvolgevano a tutti i livelli, dai lupetti fino alla Comunità di Clan, non soltanto nel RC1. Per chi non ha vissuto quegli anni, tanto per far capire gli ordini di grandezza di cui si parla, il solo Riparto Aspromonte nel 1974 contava un’ottantina di iscritti divisi in 5 squadriglie, con una media di almeno una settantina di presenti durante le varie attività. E parliamo solo di un Riparto. Il gruppo contava, vado a memoria, 2 Branchi, 1 cerchio, 2 riparti maschili ed 1 femminile, 2 noviziati ed il Clan. E quasi per tutti Mimmo è stato il “faro”, il punto di riferimento. Siccome questo non gli bastava c’erano anche gli impegni associativi regionali e il ruolo di cappellano nel carcere minorile, dove anche noi siamo stati coinvolti e forse, nel nostro piccolo, siamo riusciti, grazie alla sua intuizione, ad aiutare qualche ragazzo.

E’ stata la garanzia nei confronti dei nostri genitori, esponendosi in prima persona quando si è iniziato a parlare di “co-educazione”. Pensate cosa abbia potuto significare a Reggio Calabria, mentalità certamente allora (e forse anche adesso, ma non posso dirlo vivendo ormai stabilmente a Roma) molto chiusa, far accettare, soprattutto ai genitori delle ragazze, l’idea di far campi insieme ragazzi e ragazze, dormire nello stesso luogo … eppure, grazie anche alla fiducia che i nostri genitori nutrivano in lui, si è andati avanti su questa strada

E’ stato esempio anche nella capacità di organizzare il suo tempo e nell’affrontare con il sorriso le giornate, per quanto piene. Da quel che io ricordo forse solo un paio di volte l’ho sentito lamentarsi per le troppe cose da fare, ma il suo dispiacere era legato alla percezione di non essere in grado di mantenere un impegno.

E forse proprio la volontà di non tradire gli impegni presi con noi, di voler a tutti i costi essere presente alla Route Regionale del 1976, lo ha portato a trascurare quella maledetta macchia sul piede che, anziche essere una stupidaggine, si è rivelato come un aggressivo tumore maligno che è stata la causa della sua morte.

Mi piace ricordarlo sul suo Maggiolino o sulla Vespa con cui si spostava da casa a scuola, in sede, al carcere, dai suoi parrocchiani, ovunque lo conducesse la sua missione. Mi piace ricordare il suo sorriso, le sue “benedizioni” mattutine in tenda al Campo Estivo, quando dopo avere intimato la “sveglia, fiori di gelsomino rampicante!”, aspergeva con l’acqua gelida coloro che si attardavano nel sacco a pelo. Mi piace ricordarlo ai fuochi di bivacco, quando si entusiasmava a cantare o anche ad interpretare “La Santa Caterina” o essere parte attiva alle “totemizzazioni”.

Lo ricordo in piedi, vicino al fuoco di bivacco la sera, quando, dopo aver cantato “Signor, fra le tende schierati”, benediceva tutti noi inginocchiati

Lo ricordo ancora questo canto e ancora oggi mi commuovo: è stato l’ultimo saluto che gli abbiamo dato in Chiesa, attorno alla sua bara, inginocchiati. E spero che lui, dal cielo, ci possa ancora benedire

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Ancora dopo Juve-Inter

3 foto che spiegano tutto

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PERCHE’ SEI ANDATA A VIVERE IN CALABRIA?

Uno scritto di Ginevra Dell’Orso, persona che non conosco, ma che esprime il suo pensiero sul vivere nella mia amata Calabria

 
Elogio alla regione dello stupore
La Calabria è una regione anomala, per certi versi “surreale”, che vanta numerosi primati, tra cui molte unicità. E’ la regione con il più alto tasso di disoccupazione, ma al tempo stesso ha l’aria più pulita e la biodiversità più alta in Europa. Non c’è una folle corsa al turismo, ma possiede più di 800 chilometri di costa dalle quali si ergono alte vette di montagna… da cui si può persino sciare contemplando il paesaggio. Ci sono pochissime industrie, pochi abitanti, ma una natura che regna sovrana e incontrastata… Ci sono Canyon e cascate, città millenarie e megaliti. Per non parlare del cibo: quest’anno il New York Times l’ha addirittura eletta la regione in cui si mangia meglio in Italia: non tanto per le ricette (che in realtà sono abbastanza povere) quanto per la qualità delle materie prime.
Ogni anno che passa il mondo si accorge di questa regione dimenticata, e quasi timidamente cerca un approccio per nulla scontato: bisogna avere una visione del mondo un po’ particolare per amare questo posto. Bisogna saper vedere, e non guardare! Bisogna cercare tra le piccole strade dei borghi antichi, arroccati sulle colline che si affacciano sui due mari, senza paura di trovarsi proiettati in un mondo antico, ancora protetto, talvolta ingenuo, ma con tanta voglia di curiosare nel futuro.
Quando ho lasciato Milano per trasferirmi qui, ho incontrato sempre il disappunto della maggior parte dei miei conoscenti, che vedevano in questo mio trasloco, una specie di fuga, di ritiro “spirituale” per scappare da un luogo frenetico e assatanato come la mia città. In realtà, non ho nulla contro Milano: ci sono nata e cresciuta, ho incontrato le persone che ancora fanno parte della mia sfera affettiva, ed è da qui che partono le mie origini. Ma la vita è breve, e il pianeta è troppo grande per circoscrivere l’esistenza ad una piccola parte di mondo. Volevo crescere i miei figli in un luogo “incantato” ma che non fosse necessariamente disconnesso dalla realtà. E volevo soprattutto rimanere in Italia… perchè, nonostante tutto, adoro questo paese!
Non è stato facile ricominciare tutto da zero: inventarsi un lavoro, cercare una casa in cui crescere due bambini, entrare nella psicologia del luogo, farsi accettare dagli abitanti e al tempo stesso accettare tanti aspetti culturali che sono distanti anni luce dai miei e dalla mia visione esistenziale. Eppure, a distanza di quasi 7 anni, eccomi qui a scrivere un capitolo della mia vita che vuole elogiare, e ringraziare, questo luogo meraviglioso.
C’è una frase molto bella che ho sempre cercato di fare mia: “concentrati sulle cose belle che hai, piuttosto che dedicare i tuoi pensieri a quello che non hai”. Infatti, nonostante mille difficoltà, più guardo quello che succede nel mondo, e più sono felice di vivere in questa terra. E non sono sola: sempre più persone decidono di staccarsi dal sistema dominante e optano per una scelta alternativa, fatta più di momenti e meno di cose. Chi ha fatto questa scelta come me, lo sa bene. Nel mio solo paese, in cui siamo poco più di 200, abitano personaggi che provengono dalle parti più disparate, e sembrano tutti usciti da qualche romanzo.
Del resto, per vivere qui serve fantasia, amore, incanto: bisogna sapersi ancora stupire davanti alla bellezza della natura quando, in primavera, selvaggiamente, ricopre ogni centimetro di terra di fiori di ogni tipo. Bisogna riuscire a provare una sorta di riverenza quando i venti di tramontana sbraitano in inverno e riempiono i cieli di arcobaleni. Bisogna ancora riuscire ad emozionarsi quando le coppie di delfini solcano i mari e le tartarughe raggiungono l’acqua dopo che si schiudono le uova.
E poi c’è il cielo… un cielo che chiunque sia passato da queste parti non può dimenticare. Tutte le declinazioni del blu si manifestano dall’alba al tramonto: persino le nuvole sembrano quelle dei cartoni animati. A volte soffici e spumose, a volte intagliate dai venti. E poi c’è il mare… onnipresente, persino dalle vette più alte dei monti. In fondo, la Calabria è una grande montagna che si tuffa in acqua: è verde, verdissima, sempre in fiore. E’ ricca di sorgenti, di fiumi e fiumare che scendono a valle a dividere i confini di ogni paesino.
Il borgo in cui vivo io, è forse uno dei più vicini al mare: dall’alto di una collina, incastonata tra due fiumi che, dalle montagne, danno origine ad una vallata, ho preso la mia casa. Una classica abitazione locale, costruita con pietre di fiume, con i muri spessi quasi un metro, circondata da alberi, querce secolari, e tanto, tanto verde. All’orizzonte il mar Jonio, alle spalle le montagne, e intorno il paesino e il fiume. Ovunque si perda lo sguardo, è sempre un bel vedere. Neanche due chilometri, ed ecco la spiaggia, che per almeno sei mesi è il mio rifugio, la mia palestra, la mia meditazione, il mio referente quando si tratta di prendere decisioni importanti… il mio divertimento. Un mare speciale, pulito, popolato da pesci, cristallino, profondo… molto profondo! Un mare che conoscono ancora in pochi… e forse per questo è ancora così affascinante!
Per anni mi hanno chiesto: ma come fai a stare in un posto in cui non c’è niente? Niente? Questo “niente” è tutto! E’ tutto quello per cui valga la pena essere su questo pianeta. No, non sono calabrese… nessuno dei miei parenti è calabrese, e non ho sposato neanche un calabrese. Semplicemente, questo posto mi ha rapito con la sua bellezza, con la sua ostinazione, con il suo essere tanto cruda e al tempo stesso intrisa di magia. Io l’ho scelta, l’ho affrontata, l’ho persino sfidata quando mi ha messo al bivio delle scelte che capitano solo rare volte nella vita… e sono ancora qui, felice di aver scelto quella più difficile ma più emozionante. Per questo non finirò mai di ringraziare questa terra, questo angolo di mondo ancora vero, palpitante, in cui si può ancora sognare e credere ai piccoli miracoli quotidiani.
Grazie a questo mare pieno di vita, al verde dominante, alla gente del mio piccolo paesino e di quelli vicini; grazie al fiume che mi fa addormentare ogni notte e grazie a quel pezzo di terra fertile in cui coltivo i migliori ortaggi del mondo… Grazie ai profumi inebrianti della primavera, che credevo fossero un’esclusiva di qualche isola esotica, e grazie a tutta questa natura che se ne frega dell’uomo e delle sue regole e si appropria di tutto ciò che vuole.
Ginevra dell’Orso
P.S.
…e grazie a mio padre, che mi ha fatto conoscere sin da bambina questo incanto che tutt’ora vivo pienamente

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