Archivi del mese: Luglio 2018

Pellegrinaggio in Terra Santa 2018 – Appunti di viaggio (parte 3): Masada

E anche ieri sveglia all’alba. Si parte presto, verso la depressione del Mar Morto verso Masada. Masada faceva parte della catena di fortezze, erette dagli Asmonei, che dovevano difendere il Regno di Giudea dalle incursioni nemiche provenienti da sud e da est. Venute meno le esigenze difensive, fu trasformata in uno degli splendidi palazzi di Erode il Grande fra il 37 e il 30 A.C.. Nel 67 D.C, infine, fu occupata dai ribelli e fu l’ultima fortezza a cadere dopo 3 anni di assedio della X legione romana nel 73 D.C., 3 anni dopo la caduta di Gerusalemme. 
Il mito di Masada nasce con la descrizione dell’assedio fatta dallo storico ebreo contemporaneo, Tito Giuseppe Flavio. 8000 romani accampati alla base della collina su cui è costruita la fortezza erodiana, ove sono rifugiati poco meno di 1000 irriducibili ribelli con le loro mogli ed i figli. I ribelli resistono per 3 anni agli assalti dei Romani, finché questi ultimi non riescono a costruire un terrapieno su cui far passare le loro macchine da guerra e sfondare le difese avversarie. Ma quando arrivano dentro la fortezza trovano tutti morti. I difensori di Masada avevano scelto la morte pur di non cadere in mani nemiche. Oggi, le reclute dell’esercito israeliano vengono portate qui a giurare: “Mai più Masada cadrà”
Il pianoro ove sorge Masada è raggiungibile solo attraverso il cosiddetto “sentiero del serpente”, una serie di tornanti su un sentiero strettissimo, da percorrere in fila indiana, facilmente difendibile; gli altri 3 lati sono a strapiombo sul deserto sottostante. Dall’alto sono ben visibili i perimetri degli accampamenti romani, 3, fra loro collegati da un vallo per chiudere ogni via d’uscita agli assediati. Con tutto ciò, sfruttando le riserve alimentari contenute in 29 magazzini, i ribelli non hanno certamente patito la fame, anzi sembra che, quando i legionari sono entrati nella fortezza, i magazzini contenessero ancora una discreta quantità di cibo. Secondo Giuseppe Flavio per gli zeloti, gli esseni e i sicari assediati, era un punto d’onore far sapere che non era stata la fame la causa della resa, ma solo la preponderanza numerica del nemico romano. E, nonostante Masada sia situata in pieno deserto, nella depressione del Mar Morto, gli assediati non hanno nemmeno sofferto la sete, grazie all’ingegnoso sistema studiato dai costruttori che consentiva un afflusso continuo di acqua, tanto che Erode usufruiva anche di un classico complesso termale romano. Gli assediati avevano creato una serie di bagni rituali per soddisfare le loro quotidiane necessità religiose.
In questa stagione non è consentito percorrere in salita il sentiero del serpente, troppo caldo. Si sale in pochi minuti con una funivia. La vista dall’alto è mozzafiato. Si spazia dal deserto sottostante, al Mar Morto fino alle montagne della Giordania all’orizzonte. Anche le rovine, tutto sommato, sono ben conservate. Colpiscono l’appartamento del comandante del posto di guardia, ove sono ancora apprezzabili i colori originari in alcuni punti delle pareti, il palazzo di Erode, situato nel punto più alto del pianoro e con la vista più bella, i due appartamenti (palazzi) sottostanti, accessibili con una lunga scalinata ricostruita, le terme. 
Dopo la conquista romana e la relativa distruzione, Masada è stata abitata da monaci, specie durante la occupazione bizantina. Sono ancora visibili i resti di una piccola chiesa bizantina. Nel tempo è stata dimenticata fino a circa 150 anni fa, quando fu riscoperta fino a divenire uno dei più importanti siti dello Stato d’Israele
Al di là della selvaggia bellezza del luogo, non riesco a comprendere perché si debba morire, si possa uccidere per un territorio che non offre nulla, pietre e sassi, sassi e pietre, con piccole chiazze di verde qua e là. L’uomo deve affermare la sua potenza, comunque, la sua capacità di prevaricazione sugli altri suoi simili, costi quel che costi

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Pellegrinaggio in Terra Santa 2018 – Appunti di viaggio (parte 2)

Terzo giorno di pellegrinaggio e la mattinata, almeno per me, è dominata dalla visita presso l’Ospedale di Hadassah, il più attrezzato e certamente quello maggiormente all’avanguardia in tutto il Medio Oriente. 
Hadassah è un’organizzazione delle donne sioniste d’America, fondata nel 1912 da Henrietta Szold, che promuove programmi di educazione ebraica, informazioni generali sul sionismo e attività per giovani.
L’Ospedale è stato costruito con l’ausilio di donazioni provenienti da tutto il mondo su sollecitazioni proprio dell’organizzazione Hadassah. E già questo è sufficiente per capire la forza e la capacità persuasiva delle donne sioniste, o comunque dell’ebraismo in generale
Ingresso poco affollato, almeno per i parametri soliti negli Ospedali romani, uno fra tutti il Gemelli, l’Ospedale che conosco meglio. C’è un angolo con un pianoforte ed un signore che suona. E’ sempre lui seduto, almeno nelle quasi due ore che siamo stati dentro l’Ospedale c’era lui, ogni tanto sgranchiva le braccia, ma continuava a suonare. Non so se fosse un paziente, se fosse un volontario o un musicista pagato dalla struttura per allietare l’attesa. 
Al di là dei meriti medici, l’Ospedale di Hadassah è noto anche per la sua Sinagoga interna. La Sinagoga, ha la forma di cubo con una lanterna per tetto; le 4 pareti esterne sono decorate con delle meravigliose vetrate, 3 per lato per un totale di 12, realizzate da Marc Chagall nel 1960. 
Le 12 vetrate raffigurano le 12 tribù di Israele e l’artista ha preso spunto dalla Bibbia, più precisamente dal libro della Genesi e dal Deuteronomio. La grandezza della vetrata di ogni singola tribù è di m.3,38 x m.2,51. 
Della descrizione di ciascuna di esse parlerò a parte, per chi fosse interessato
Dopo la Sinagoga dell’Ospedale, ci siamo recati a Ein-Kerem. C’eravamo già stati lo scorso anno. E’ la città dove sarebbe nato San Giovanni Battista, cui è dedicata una Chiesa dove sarebbe stata localizzata la dimora di Santa Elisabetta, la madre, e di Zaccaria, sacerdote nel Tempio di Gerusalemme, suo padre. Ein-Kerem è la città dove la Vergine Maria si recò a trovare la cugina Elisabetta appena venuta a conoscenza, dall’angelo, della sua gravidanza, per aiutare la stessa Elisabetta, avanti negli anni. E il bambino nel grembo, secondo il Vangelo, ha sussultato nel momento dell’incontro delle due donne
Nel pomeriggio visita al Museo del Libro di Gerusalemme. All’ingresso è situata una ricostruzione della pianta di Gerusalemme del secondo Tempio, prima quindi della sua distruzione nel 70 d.C. ad opera dei Romani guidati da Tito, successore di Vespasiano alla guida dell’Impero. 
Oltre il grande plastico di Gerusalemme, in un’apposita struttura sono custoditi i “rotoli del Mar Morto”, i famosi manoscritti ritrovati a Qumran casualmente da due beduini. Fra i tanti, merita una menzione particolare il Libro di Isaia, della Bibbia, ritrovato nella sua versione praticamente completa. I manoscritti, la cui datazione è in genere compresa tra il 150 a.C. e il 70 d.C., costituiscono le più antiche copie di libri biblici. Per gli Israeliani rappresentano, al di là della importanza della scoperta storica, un enorme valore religioso, tanto che la struttura dove sono conservati è a prova di atomica. Molto belli anche i reperti conservati nelle altre sale del Museo e che ripercorrono le varie e diverse epoche della storia di Israele. Se posso permettermi un appunto alla nostra bravissima guida, padre Alessandro, io avrei dedicato forse meno tempo alla visita dei manoscritti di Qumran e più tempo alla vista delle altre sale del Museo
Serata alla scoperta della Gerusalemme moderna, con le vie della “movida”. Niente di particolare, nulla che mi abbia particolarmente colpito nella città nuova
Quarto giorno di pellegrinaggio vissuto tutto dentro Gerusalemme. Il programma della mattinata è stato in parte un deja-vu con la visita alla Basilica di Sant’Anna, la madre della Vergine Maria, e alla Piscina Probatica, anche nota come la Piscina di Betzaeta, ove Gesù guarì il paralitico (“vuoi guarire? Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”). Lo ricordavo bene, mi aveva colpito già lo scorso anno: l’acustica all’interno della Chiesa è straordinaria; canti in coro e gli ascoltatori hanno la sensazione di ascoltare dei professionisti, tale è la nitidezza della riproduzione acustica.
In vicinanza della Piscina, è situato lo Studio Biblico Francescano. L’edificio attuale è in corrispondenza di quello che, all’epoca di Gesù, era la Fortezza Antonia, la sede della guarnigione romana di Gerusalemme e da dove ha inizio la Via Dolorosa. All’interno dell’edificio sono situate la Cappella della Condanna e la Cappella della Flagellazione, ove abbiamo celebrato Messa. Molto coinvolgente l’omelia di frate Alessio, altro accompagnatore nel pellegrinaggio, a proposito dell’amore estremo di Cristo per noi e su quella domanda riportata dal Vangelo di Giovanni, “vuoi guarire?”, rivolta da Gesù al paralitico, espressione di ciascuno di noi. Io voglio guarire? Gesù me lo ha chiesto e continua a chiedermelo, a me tocca rispondere. All’interno dello Studio Biblico Francescano sono state da poco aperte due sezioni del Terra Sancta Museum, con un’anteprima multimediale di una decina di minuti ed una passeggiata fra i reperti ritrovati dai frati nel corso degli anni. La particolarità di questo museo è quello di essere esso stesso un reperto, visto che i locali erano quelli della fortezza romana di Gerusalemme. 
La Via Crucis lungo la Via Dolorosa fino al Santo Sepolcro si è rivelata, anche quest’anno, esperienza personale molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, nonostante il percorso sia quasi nella sua totalità in mezzo alla quotidianità della Gerusalemme attuale e inserito in quello che oggi è il “suk” arabo. Quest’anno le ultime stazioni sono state tutte dentro il Sepolcro. Avevo la mano dentro il punto di infissione della Croce quando padre Alessandro, nella 12° stazione, ha ricordato il passo del Vangelo della morte di Gesù sulla stessa Croce. Mi ha molto colpito questa coincidenza. Così come mi ha commosso ricordare, confesso lo avevo rimosso, che nella Via Crucis a Gerusalemme le stazioni sono 15, perchè, essendo al Sepolcro, puoi ricordare anche la scoperta del Sepolcro vuoto, la Resurrezione di Nostro Signore
Pomeriggio al Davidson Center Museum di Gerusalemme. Lo si può considerare il parco archeologico di Gerusalemme, accanto al Muro Occidentale. Gli scavi portati avanti hanno permesso di ammirare ritrovamenti archeologici, ordinati nelle epoche del Primo e Secondo Tempio: le antiche mura, le scale del Tempio, strade antiche, piscine per i bagni rituali e negozi.
E’ impressionante ritrovarsi alla base delle mura erodiane del Tempio e guardare in alto: solo così si può comprendere l’imponenza della struttura. Colpiscono le dimensioni enormi dei blocchi di pietra sovrapposti che costituiscono l’insieme delle mura e non si può che rimanere ammirati dalle capacità costruttive dei nostri avi. Questi resti hanno almeno 2000 anni. Si comprende bene anche il significato della pietra “testata d’angolo” di cui parla Gesù nel Vangelo: sono blocchi unici, a forma di L, con il lato più lungo di 8-10 metri, il più piccolo di 3-4 metri e dello spessore di 1 metro, alte almeno 1 metro e perfettamente squadrate, a mano, con scalpelli di 2000 anni fa!!!!
Rimangono a terra tanti dei blocchi che facevano parte delle mura distrutte dai Romani. Girando verso il lato Sud del Tempio, al di sotto della Moschea di Al-Aqsa, di cui è possibile dal basso ammirare solo una parte della cupola, si trova una scala antica che portava verso l’ingresso del Tempio e che Gesù ha certamente percorso. La scala è ben conservata. Purtroppo la successiva costruzione della Moschea ha distrutto il sistema di scale interne che portava verso il colonnato costruito da Erode, situato dove adesso c’è Al-Aqsa. E’ possibile salire verso ciò che resta delle antiche mura della città ed ammirare il paesaggio verso il Monte degli Ulivi ad oriente e, a sud, verso le rovine che stanno emergendo e che, secondo alcuni archeologi, sono quelle della Gerusalemme del Re Davide, città all’epoca certamente più piccola e situata a meridione rispetto le mura costruite da Saladino e che delimitano la Città Vecchia

 
 

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Pellegrinaggio in Terra Santa 2018 – Appunti di viaggio (parte 1)

Primi rapidi appunti di viaggio del nuovo pellegrinaggio in Terra Santa.
Arrivati lunedì pomeriggio, giusto il tempo di sistemarsi e poi subito al Santo Sepolcro, per far conoscere, a coloro che hanno intrapreso per la prima volta questo viaggio, il centro della cristianità, il senso di quella tomba vuota che, se non fosse vuota, vanificherebbe il nostro credere, la nostra fede cristiana, come dice San Paolo
Rapida uscita dopo cena per ammirare il “festival delle luci”, manifestazione che si tiene tutti gli anni in questo periodo e che richiama una marea di gente nella Vecchia Gerusalemme, le cui imponenti mura diventano sfondo di incredibili giochi di luci e musiche. Troppa calca, troppa folla, per cui rapido rientro in albergo e recupero delle energie.
Martedì mattina sveglia all’alba e, alle 6,45, davanti al Santo Sepolcro dove, alle 7,00 in punto, il nostro gruppo ha avuto il privilegio di celebrare la Santa Messa dentro il Sepolcro di Gesù. Come lo scorso anno, emozione grandissima quella di poter appoggiare le mani sulla pietra su cui è stato adagiato il corpo senza vita deposto dalla Croce, di poter pregare per tutti noi in questi momenti così difficili, così pericolosiIl tempo di far colazione e poi trasferimento in autobus verso il deserto del Neghev. Il nostro autista ha pensato bene di farci fare la strada che attraversa, vicino Betlemme, il confine tra la Palestina e lo stato di Israele, così da farci provare il “brivido” del controllo passaporti a bordo. Inutile dire che la soldatessa israeliana, colpita dalle mia fattezze arabe, si è soffermata a controllare il mio documento con un minimo di cura in più
Prima tappa del viaggio Beer-Sheva, ove è conservato un pozzo che, stando a quanto riporta la Bibbia nella Genesi, sarebbe stato scavato da Abramo (all’incirca si parla, se non ricordo male, del 1850 a.C.. Il pozzo è posto all’ingresso delle rovine delle vecchie città costruite una sull’altra nel corso dei secoli. Abbiamo ammirato il panorama dalla sommità della torre che, dall’alto, domina le rovine. Non sono molto estese. Secondo la nostra guida avrebbe potuto contenere circa 200 abitanti. Particolare è un’enorme cisterna, se non ricordo male una sessantina di metri di profondità, oggi totalmente vuota. Si può scendere fino alla base attraverso gradini scavati nella roccia, su cui c’è da fare una certa attenzione, uscendo poi attraverso quello che è il sistema che convogliava l’acqua di due wadi che scorrono vicino e che sono in secca 11 mesi l’anno. E’ solo lungo il corso dei wadi che oggi c’è un po’ di vegetazione; per il resto deserto roccioso. Ogni tanto qualche insediamento di beduini con i loro dromedari e sparute greggi di capre e pecore. Mi è sembrato di aver visto, attraverso i vetri del pulman, un paio di bovini ma non ci giurerei. 

Seconda tappa del viaggio le rovine di Shivta, una città nabatea, inserita nel circuito della “via dell’incenso”, la via che percorrevano le carovane dei beduini che trasportavano le preziose spezie. Le città situate lungo la via dell’incenso, che partiva dall’Arabia e giungeva a Gaza passando per Petra, capitale dei Nabatei, dovevano la loro ricchezza al fatto di essere diventate, nel tempo, stazioni di sosta e rifornimento, più o meno importanti, per le carovane stesse. Shivta, di cui sono discretamente ben conservati gli absidi di due chiese bizantine, è stata distrutta da un terremoto nel 700 d.C.

Analogamente anche Avdat, altra città nabatea che deve la sua ricchezza al fatto di trovarsi lungo la via dell’incenso, è stata distrutta dallo stesso terremoto. Anche qui le rovine sono discretamente ben conservate, ma la città ha una peculiarità: si trova sul pianoro di un’altura che domina un’ampia area del deserto del Neghev e questo rende bene l’idea di quanto fosse cruciale. Le rovine sono state usate come sfondo per alcune scene di Jesus Christ Superstar, musical che risale alla mia adolescenza (se non sbaglio avevo 16 anni quando andai a vederlo al cinema la prima volta). Il paesaggio del deserto è decisamente affascinante. I Nabatei avevano anche sviluppato un sistema originale per sfruttare quella poca acqua piovana che cade su queste lande desolate, riuscendo a sviluppare anche delle coltivazioni
Certo che, per quanto affascinante possa essere il panorama, le condizioni di vita sono veramente dure ed è difficile comprendere come si possa morire per avere il dominio su terra e sassi. Commentavo con la nostra guida che, quando ci fu la suddivisione della Terra Promessa fra le 12 Tribù di Israele, quella cui è toccata il deserto è stata proprio sfortunata, almeno giudicando secondo i nostri attuali parametri. Certo, puoi decidere di fare una vita nomade, portando le bestie qua e là per sfruttare quel po’ di verde che riesce a crescere, ma non mi capacito di come si sia potuto anche lontanamente pensare ad un futuro di prosperità per la propria gente. Men che meno riesco a capire, oggi, perchè si debba vivere in uno stato di guerra perenne per un territorio siffatto. E’ vero che gli israeliani hanno creato delle piccole colonia, dei kibbutz (credo si scriva così), facendo arrivare acqua pompata a forza dal Mar di Galilea (lago di Tiberiade). Ma il livello dell’acqua, secondo quanto ci è stato detto, tende sempre ad abbassarsi, essendo diminuita la portata del Giordano, l’unico fiume che alimenta il lago. E la Galilea, la regione bagnata dal lago, è una regione fertilissima, abbiamo avuto modo di apprezzarlo lo scorso anno. Il rischio che l’acqua possa poi diventare insufficiente è alto. E poi?

Dopo l’escursione nel deserto del Neghev, dopo cena fra storia e illusionismo. Ci siamo avventurati fra le decine di migliaia di persone accorse proprio in prossimità della Porta di Jaffa, quella più vicina al nostro albergo, per assistere al Festival delle Luci, che si tiene ogni anno in questo periodo, per fare il giro delle mura che circondano la Vecchia Gerusalemme. Su vari settori delle possenti mura erette da Solimano il Magnifico nel 1500, vengono proiettati giochi di luce con un effetto ottico molto particolare. Di seguito alcune foto. Le più particolari sono certamente quelle della Porta di Damasco, la porta più monumentale, ai confini del quartiere arabo fuori delle Mura. 
Il lato orientale delle Mura, che si percorre a piedi fra le tombe di un cimitero musulmano (tra parentesi molto mal tenuto), guarda verso il Monte degli Ulivi, ai cui piedi c’è Getsemani con l’Orto e la Basilica dell’Agonia. Immagine sempre suggestiva da vedere, a maggior ragione di notte, ricordando che proprio fra quegli ulivi, 2000 anni fa, Gesù veniva arrestato, iniziando la Passione che doveva poi concludersi con la Crocifissione sul Golgota. Proseguendo, appena termina alle spalle il Muro Orientale, lo spazio diviene aperto e lo sguardo percorre le rovine, che vengono continuamente studiate e i cui vari strati vengono ancora portati alla luce, di quella che, inizialmente, era la periferia della Gerusalemme di Davide, originariamente posta più in basso verso la piscina di Sion. Mi erano sfuggite, lo scorso anno, le tombe dei Profeti, non meglio specificati i nomi di coloro che qui sarebbero stati sepolti.

Proseguendo il circuito, attraverso la Porta del Letame (o Porta dei Magrebini) si entra verso il Muro del Pianto. Incredibile come, ancora a quest’ora tarda, tanta gente si rechi a pregare. Trovo francamente intollerante la divisione nei settori di preghiera fra uomini e donne, anche materialmente divisi da una barriera solida, anche se sottile.

Siamo tornati in albergo a piccoli gruppi, Gloria ed io da soli, percorrendo, per nostra scelta, la Via Dolorosa. I negozi del suk sono chiusi, non c’è nessuno, a parte due ragazzini arabi che corrono e strillano, rincorrendosi fra loro. Inquietante. Ecco, questo è l’aggettivo giusto 

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