Archivi del mese: Febbraio 2020

Giordania-Israele febbraio 2020 – parte 2

Diario di viaggio – parte 2. Terzo giorno e di buon mattino si parte per Madaba. Tempo da lupi con pioggia praticamente per tutta la notte che ha preceduto la partenza e che ci ha accompagnato per un discreto tratto. Rapida sosta alla “fontana di Mosè” nel luogo ove la tradizione tramanda si sarebbe verificato l’episodio narrato nella Bibbia: Mosè percosse la roccia due volte con il bastone e da questa sarebbe scaturita l’acqua per gli Ebrei assetati
La presenza di nubi basse ci ha impedito di ammirare le variazioni progressive di panorama, dalla roccia calcarea al deserto, fino alla comparsa di vegetazione via via più rigogliosa e infine di zone con coltivazioni sempre più intensive. Per farla breve, è sembrato di attraversare, in due ore di viaggio, più ere geologiche.
Durante il viaggio, sosta a Umm Al-Rasas. Questa località, chiamata anche Castrum Mefa’a in latino o Kastron Mefa’a in greco-bizantino, è un sito archeologico inserito nel 2004 nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Qui sono presenti antiche rovine di epoca romana, bizantina e dei primi secoli dell’espansione araba, risalenti al periodo compreso fra il III° e il IX° secolo. Fra ciò che è stato portato alla luce spicca il complesso della Chiesa di Santo Stefano per lo splendido pavimento in mosaico in cui sono rappresentate le città che anticamente si trovavano in questa regione
Altra sosta alla fortezza del Macheronte. Era un palazzo fortificato che costituiva uno degli elementi di difesa contro i Nabatei, fatto erigere da Erode I° il Grande. Di tale sistema di palazzi fortificati faceva parte anche la fortezza di Masada, ultimo baluardo a cadere dopo la rivolta del 70 d.C. che portò alla distruzione di Gerusalemme da parte di Tito e alla diaspora degli Ebrei. Macheronte è famoso perchè qui fu ucciso Giovanni Battista, fatto decapitare da Erode Antipa per mantenere una promessa fatta a Salomè, figlia di Erodiade, la donna di cui si era invaghito, moglie del fratello Filippo, con cui conviveva e che odiava il Battista perchè quest’ultimo pubblicamente condannava l’unione illegittima fra Erode Antipa e la stessa Erodiade. Per arrivare in cima abbiamo dovuto percorrere una stretta strada in salita con una pendenza importante. E’ stata veramente una faticata non giustificata dalle poche rovine rimaste, ma ricompensata dallo splendido panorama che si è aperto davanti ai nostri occhi.
Il quarto giorno di viaggio ci ha portati nella depressione del Mar Morto, in un giorno sereno e caldo, per recarci a Betania oltre il Giordano (al-Maghtas), riva giordana del luogo del battesimo di Gesù. Il Giordano aveva una portata sicuramente maggiore rispetto a quanto avevo osservato nei miei precedenti viaggi in Terra Santa. Bisogna dire che l’emozione, la suggestione che si vive da questa parte del fiume non è nemmeno paragonabile a quanto visto sulla riva israeliana. In quest’ultima solo uno operazione quasi esclusivamente commerciale (arrivi con il pullman praticamente sul sito, fai cento metri e sei sui sedili in legno appositamente predisposti). Sulla riva giordana invece c’è tutto un percorso tracciato nella vegetazione, con alcuni resti archeologici di una chiesa bizantina, con vari spazi aperti anche alla possibilità, per gruppi relativamente numerosi come il nostro, di potersi fermare, meditare le letture, pregare. Una volta giunti sul sito vero e proprio c’è un ampio spazio predisposto per la celebrazione eucaristica. Insomma, tutta un’altra storia, tutta un’altra cosa
Da Betania oltre il Giordano trasferimento ad un altro luogo simbolo, idealmente la fine del percorso di Mosè, cioè il Monte Nebo. Qui il Patriarca è morto e da qui Dio gli mostrò la Terra Promessa, quella Terra in cui Mosè non sarebbe mai entrato, come d’altronde Dio stesso gli aveva predetto. In effetti da lassù lo sguardo spazia sulla Valle del Giordano fino al Mar Morto, l’oasi di Gerico e sui contrafforti dei monti di Gerusalemme. Nelle giornate chiare si possono vedere la stessa città di Gerusalemme, secondo le affermazioni di Khaled, la nostra guida giordana. A parte il panorama, ricorderò certamente il bellissimo mosaico presente all’interno del Mausoleo di Mosè, che descrive scene di vita contadina con vari animali e che risulta perfettamente conservato, assolutamente indenne al tempo trascorso
Le giornate giordane si sono concluse con la visita della Chiesa di San Giorgio a Madaba, ove è conservato, molto male a mio parere, quel che resta di un enorme mosaico del VI° secolo dopo Cristo che è la più antica rappresentazione cartografica originale sopravvissuta della Terra Santa. Ne rimane solo una parte, ma appena visibile, con colori ormai stinti. Non ho nemmeno avuto voglia di provare a scattare una foto, tale è stata la delusione provata
E dopo un allucinante attraversamento della frontiera giordano-palestinese (oltre 3 ore e mezza per passare il confine, con attese estenuanti e apparentemente non giustificate) il pomeriggio inoltrato di sabato siamo arrivati a Gerusalemme.
Ma qui comincia un altro capitolo e ne riparliamo un’altra volta

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Giordania-Israele febbraio 2020 – parte 1

Diario di viaggio – parte 1. Ieri finito il pellegrinaggio in Giordania dopo 4 giorni molto intensi. Abbiamo vissuto situazioni molto diverse, oserei dire opposte. Arrivati ad Aqaba ci siamo sentiti assolutamente inadeguati con i nostri maglioni, giacconi, scarponi da trekking mentre intorno a noi, con 23° di temperatura alle 11,00 del mattino c’era gente in pantaloncini e magliettina, pronta ad andare a mare. A proposito, visto dall’alto il mare, che poi sarebbe il Mar Rosso, ha colori e trasparenze incredibili, assolutamente molto molto bello. Pronti, via e, abbandonata Aqaba dopo la messa, lo scenario è cambiato con la strada a solcare il deserto: distese di terra rossa, poche dune, qualche montagna, niente vegetazione, se non qualche arbusto qua e là e, ogni tanto, qualche alberello isolato, di minima altezza, che faceva pena a vederlo da solo. Mi è venuto naturale definirli “alberi eroi”. Inoltrandoci sempre più nel deserto, il panorama è cambiato ancora, con montagne sempre più frequenti, aspre, quasi taglienti nel loro profilo, disposte a circondare il Wadi-Rum, questa area naturale in cui abbiamo sostato per meno di 24 ore. Un ambiente fiabesco, che ha fatto da sfondo al famosissimo film “Lawrence d’Arabia”, interpretato da Peter O’Toole. L’escursione con i pickup ci ha consentito di ammirare da vicino angoli da sogno, con panorami da cartolina che le foto, per quanto precise, per quanto scattate con tutti i criteri del caso, non riescono a rendere. Nei punti in cui siamo scesi, per sostare in punti particolarmente paesaggistici, per ammirare grafiti e incisioni rupestri di migliaia di anni fa o semplicemente per gustare un thè alla maniera beduina, ci siamo resi conto delle difficoltà di camminare sulla sabbia (peggio che al mare). Mi è venuto naturale pensare, dato il tema del nostro pellegrinaggio, “sulle orme di Mosè”, agli ebrei partiti dall’Egitto con i bambini, le donne, i carretti carichi dei loro averi, gli animali, penso greggi di pecore e capre, in questo territorio decisamente poco ospitale. Deve essere stato un qualcosa di epocale, soprattutto considerata la sua durata di 40 anni, secondo quanto riportato sulla Bibbia. Direi che i motivi di sconforto, comprensibilmente, durante tutto questo lasso di tempo, sono stati tanti come numero, ma pochi in rapporto alla scarsa sopportazione che generalmente l’essere umano ha verso le difficoltà che si prolungano nel tempo
Abbiamo soggiornato, pranzo, cena, sonno e colazione, in una delle tante strutture sparse nel Wadi-Rum che riprendono gli accampamenti dei beduini ma che sono, verosimilmente, dei container rivestiti con tessuto spesso a mo’ di tenda. Sicuramente suggestive ma con una seri di problematiche abbastanza rilevanti: durante la notte la temperatura scende e, se è vero che nello spazio-notte ci sono dei caloriferi, il bagno viceversa ne è sprovvisto, per cui al mattino c’è un notevole shock termico. L’uscita dalle “tende” è posizionata su una pedana in legno che può essere anche sopraelevata, fino a oltre mezzo metro, il che di notte soprattutto, in presenza di illuminazione insufficiente, si può tradurre in elevato rischio di caduta come è successo ad una delle signore del nostro gruppo.
Il giorno successivo trasferimento a Petra con tempo in progressivo peggioramento. Descrivere l’emozione provata durante la visita nel sito di Petra è difficile, per vari motivi. Innanzitutto il percorso obbligato per raggiungerla: una strada in una gola tortuosa anche molto stretta, in alcuni punti al massimo 3-4 metri, fra pareti alte anche 100 metri. Durante il tragitto si osservano delle opere di estremo ingegno, soprattutto se si pensa che sono state realizzate oltre 2200 anni fa con conoscenza e modalità molto minori di quel che si potrebbe fare oggi: dighe per contenere, guidare e raccogliere l’acqua piovana che può anche essere abbondante, come abbiamo avuto modo di conoscere tragicamente, barriere per contenere eventuali frane, deviazioni forzate dall’acqua che altrimenti avrebbe avuto la possibilità di scorrere a fiumi dentro la gola con conseguenza anche gravi per la città antica. In secondo luogo per come all’improvviso, dopo l’ennesima curva in una ennesima strettoia, davanti agli occhi appare nella sua maestosità il Tempio del Tesoro con la facciata scolpita nella pietra, visibile chiaramente ancora oggi, nonostante l’evolvere del tempo (almeno 2000 anni). E come tacere del teatro, 4000 (avete letto bene, quattromila) posti a sedere, anch’esso scavato nella roccia posto per posto, fila per fila. Ed oggi, a sentire la nostra guida, il 90% di Petra è ancora sotto terra.
Improvvisamente la pioggerellina che, a sprazzi, aveva accompagnato i nostri 2 Km dall’ingresso fino all’arrivo al sito, diventa un vero e propio nubifragio, con tanta acqua che il terreno non assorbe. Si formano rapidamente rivoli e pozzette d’acqua in rapida espansione per cui decidiamo di intraprendere il viaggio di ritorno verso il punto di ingresso, percorrendo la gola in salita questa volta, con i rivoli d’acqua che rapidamente sono diventati ruscelli e poi veri e propri torrenti. Siamo arrivati a destinazione inzuppati, con le scarpe piene d’acqua, pantaloni bagnatissimi e sporchi di argilla da sotto il ginocchio verso la loro estremità, giaccone pesante per l’acqua assorbita, zaino con un paio di dita di liquido sul fondo. A noi è andata bene, molto meno bene, purtroppo, il giorno dopo ad un nostro giovane connazionale poco oltre i 30 anni, morto dopo essere stato colpito alla testa da una pietra di dimensioni non specificate, staccatasi da una delle rocce in alto.

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