Archivi del mese: Giugno 2023

Omelie diverse per mondi diversi

E’ finita, finalmente, mi permetto di aggiungere, una settimana dominata dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, assunto a modello di vita nella folle corsa alla totale adulazione, a mio modesto avviso legata solo al tentativo, in puro stile “avvoltoio”, di accaparrarsi i suoi elettori. Lungi da me l’idea di aggiungermi ai vari politologi di ogni estrazione che si sono sbizzarriti nelle più diverse interpretazioni di 30 anni e passa di berlusconismo, tacendo su tutte le ombre che hanno avvolto la vita del Cavaliere e che, purtroppo, resteranno misteriose e senza risposta. Mi ha invece molto colpito l’articolo edito su “La Repubblica” di oggi, a firma Concita De Gregorio che , fondamentalmente, mette a confronto e in contrapposizione “l’apparire” o “l’essere”, “la forma” o “la sostanza”, “la spettacolarizzazione” o meno della propria vita

I MONDI DI ZUPPI E DELPINI
di Concita De Gregorio
Il destino, qualunque cosa sia e chiunque lo governi, ci vede benissimo. Dev’essere per questo che con generosità e pazienza estreme ha messo di fronte alla nostra balbuzie e alla nostra miopia — alla nostra difficoltà di interpretare il tempo — uno spettacolo senza precedenti, anzi due, all’unisono. Due omelie, due teatri. Due riti in chiesa a distanza di pochi chilometri e ore. Come se fossero lì per dire uno dell’altro, illuminarsi a vicenda: due idee di mondo, opposte e coeve. Un discorso — mite — parlava con dolore di un “mondo sguaiato, di vanagloria che riduce l’amore ad apparenza”. L’altro — assertivo — di “gesti simpatici”, di “godere il bello della vita, essere contento senza troppi pensieri”. Uno di “essere vicini alla marginalità, vedere il mondo dalla parte dei poveri”, della “pazienza del rammendo”, per ogni strappo ce n’è uno, della “fatica del cammino”. L’altro di “fare affari, non fidarsi degli altri”, “vincere, arrischiarsi in imprese spericolate”, “fare affari”, di nuovo: “Guardare ai numeri e non ai criteri”. Non ai criteri. Quel che conta è il risultato, non come ci si arriva. Quel che conta è guadagnare, vincere.
Nessuno sceneggiatore avrebbe saputo mettere in scena due funerali così, nella stessa settimana, due rappresentazioni plastiche della battaglia di idee e di progetti che ha opposto per decenni due grandi protagonisti della vita politica italiana. I necrologi coi loro cognomi alternati sui giornali, aggettivi antitetici. La distanza vien da dire antropologica, etica ed estetica, degli invitati fra i banchi. Sono morti a distanza di pochi giorni Silvio Berlusconi, non serve indugiare nella biografia, e Flavia Franzoni, docente, esperta di metodi dei servizi sociali e per oltre cinquant’anni moglie di Romano Prodi: anche lui più volte Presidente del Consiglio, leader dello “schieramento avverso” a quello di centrodestra, l’unico ad aver sconfitto Berlusconi nelle urne, due volte. Berlusconi e Prodi hanno rappresentato per un tempo molto lungo due possibili modelli di governo del Paese. Non c’è dubbio che oggi abbia prevalso il modello berlusconiano. Governa infatti la destra che lui ha contribuito a portare a Palazzo Chigi, restandone fino all’ultimo alleato. Non c’è dubbio, altrettanto, che la “nuova sinistra”, quella in sintesi di Elly Schlein, sia figlia politica di Prodi. La storia non è finita qui, insomma:
gli eredi e le eredi scriveranno il seguito.


Ma le omelie, dicevamo. Prima di tutto gli oratori. A Milano, in Duomo, di Berlusconi ha parlato l’arcivescovo Mario Delpini. Uomo cresciuto nei cortili nei dormitori e nelle aule dei seminari, prima da alunno poi da docente infine da rettore, tutta una vita nei collegi e nelle scuole cattoliche dedicate alla formazione del clero. Nominato vescovo di Milano da Benedetto XIV, confermato da Francesco. A Bologna ha parlato don Matteo Zuppi, prete di strada, animatore di mense e rifugi dei poveri, formato alla comunità di Sant’Egidio, dedito alla cura degli ultimi, oggi presidente della Cei: nominato da Papa Francesco, di recente suo emissario nella difficile trattativa di conciliazione fra Russia e Ucraina. La guerra di invasione. Gli invitati alla cerimonia: a Milano il mondo Mediaset, gli eredi della concessionaria di pubblicità Publitalia 80 da cui ogni fortuna è nata, il Milan, naturalmente, le bionde soubrette i “volti” e i giornalisti delle sue tv, l’emiro del Qatar. Sergio Mattarella, trattandosi di Funerali di Stato e di lutto nazionale decretato dal governo Meloni, seduto assai silenzioso accanto al ricchissimo emiro. Vedove ufficiali almeno quattro, decine invece quelle non censite — care amiche. A Bologna la sinistra di allora e di oggi, quella in cui è riposta la strenua speranza di un’alternativa eventuale, professori, accademici, infermieri degli ospedali e volontari del terzo settore, maestre, disabili, cittadini semplici, amici d’infanzia del tutto anonimi, la numerosissima famiglia:
una corona di figli e nipoti tutti generati da un solo matrimonio, una sola lunghissima storia di complicità intellettuale e di amore.


L’omelia di Delpini aveva il passo e il tono di un’indulgenza plenaria. L’assoluzione da ogni peccato. La comprensione dell’umana debolezza, non sono gli uomini a dover giudicare: Dio accoglie i peccatori. Fondata lessicalmente sulla ripetizione, sull’allitterazione, in qualche modo ipnotica: diceva, ad ogni passo, “è in Dio il giudizio”. Capitolo primo: il desiderio di vita. Era un uomo esuberante, diciamo così. “Vivere e non sottrarsi alle sfide, agli insulti, alle critiche: continuare a sorridere, sfidare, contrastare”. Sfidare.
Capitolo secondo: il desiderio di “amare ed essere amato”. Certo, chiunque vuol essere amato. Dipende come. Se con la “manutenzione dell’unione” — dice Zuppi — o con l’accumulazione, la continua incessante sostituzione della fonte di consenso amoroso. Assolto anche qui, l’umano narcisismo. Chi non lo capisce? L’uomo che “vuol essere contento e ama le feste”, le cene eleganti le ragazze con lui gentili, le serate “in simpatia”, le battute, che ridere. Assolto, nel nome di Dio. E poi l’uomo d’affari. Deve vincere, un uomo d’affari. Le “imprese spericolate” — qualunque cosa significhi, a spanne intuiamo cosa — le opacità, le alleanze (ma è “un uomo d’affari”), la ribalta permanente, essere “di parte”. Contano i numeri, non i mezzi. Non i compromessi: il risultato. Tutto perdonato. Nel nome di Dio. “Celebriamo il mistero del compimento”.
A Bologna quel “mondo sguaiato di vanagloria” è nell’omelia di Zuppi il metro che calibra il valore del suo opposto. Di chi lavora al rammendo, alla manutenzione dell’unione, alla tutela di chi resta indietro e non vince mai. La cura di chi perde, in questa gara dove solo chi ha soldi comanda e non importa come li ha fatti, i soldi: quello è il mistero (mica tanto) del compimento. Di Flavia Franzoni Zuppi ricorda la mitezza nella radicalità. L’ostinazione a restare dove c’è qualcuno che esce di strada. “Restare nei luoghi dell’umanità”, in quelli costruire soluzioni. Riparare i guasti, avere pazienza, “essere bussola” per chi cerca il senso di una vita dove non c’è festa ma fatica. Sostenere la fatica. “L’amore vero non si vende e non si compra, non possiede niente e per questo possiede tutto”. Che altro c’è da dire, serve altro? Non si compra. Forse sì, forse bisogna esortare a non dimenticare. Non cedere alla lusinga del successo, se e quando arriva, con questo cancellando il pezzo di vita che ti ha condotto fin li, non eliminare i testimoni per il favore della nuova gradita telecamera. Forse questo, potremmo cominciare a spiegare meglio ai figli influencer: non è un challenge, la vita. È un cammino e tutto resta, tutto conta — in quel cammino. Non lasciare indietro nessuno, voltarsi a cercare con lo sguardo chi ha inciampato. Andarlo a riprendere. Insomma. Due omelie, due chiese. Due discorsi solenni, entrambi da opposti pubblici applauditi. Però contano, i criteri. Questo bisognerebbe sottolineare. Conta cosa fai, che risultati ottieni, ma anche come li ottieni. È cruciale, come. Due Italie, due modelli, un solo futuro. Dipende da quale strada vogliamo indicare. Da quale omelia partire. Quale sentiero, quale esempio.

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Finale di Champions League

Ho volutamente aspettato che sbollisse la rabbia prima di scrivere le mie sensazioni dopo la finale di Champions League di ieri sera. Tanta rabbia, tanta amarezza. Ero assolutamente consapevole che il City è più forte dell’Inter, nessuno sano di mente può metterlo in discussione, per cui ero preparato alla sconfitta, ma così no, così fa male, difficile da smaltire per un bel pezzo.
Mi aspettavo un City spumeggiante, avevo ancora negli occhi il primo tempo della semifinale con il Real Madrid, assolutamente annichilito, in casa, dalla squadra inglese. Invece, man mano che passavano i minuti ho avuto una progressiva iniezione di fiducia. Gli inglesi giravano in tondo il pallone senza riuscire a finalizzare; il tanto celebrato Haaland ha tirato in porta una sola volta.
La svolta della partita purtroppo è stata l’occasione mancata da Lautaro su errore del difensore. Chiaro, l’attaccante è solo davanti al portiere e ci prova a far goal, di base è un egoista. Ma avrebbe dovuto dare la palla a Brozovic che arrivava a rimorchio. A posizioni invertite. Brozo avrebbe dato la palla e staremmo a fare altri discorsi
Dopo il loro goal, forse l’unica occasione in cui sono arrivati sulla linea di fondo ed hanno giocato a rimorchio, ricordo solo l’azione personale, bellissima peraltro, di Foden finita con la parata a terra di Onana.
Da qui in poi il City come squadra non me lo ricordo più. Ho invece negli occhi la traversa di Di Marco con il successivo colpo di testa respinto sulla linea da … Lukaku, l’occasionissima dello stesso Romelu a mezzo metro dalla linea di porta (non puoi tirarla addosso al portiere, ai miei tempi io avrei segnato) e la parata finale del loro portiere su Gosens
Rimane la consapevolezza di aver giocato da grande squadra, alla pari se non meglio dei “marziani” che avrebbero dovuto fare un sol boccone dell’Inter
Al prossimo anno, sperando di far meglio
Ai tifosi della Juve che sono in festa, volevo dire di star tranquilli: il loro record del mondo di 7 sconfitte su 9 finali Champions è assolutamente imbattibile (e non entro nel merito delle due vinte perchè non ne vale la pena). Pensassero poi che sono stati eliminati ai gironi dal Benfica, eliminato dall’Inter ai quarti di finale con assoluto merito, dopo aver perso in Israele con il Maccabi
 
 

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Gli ambientalisti bocciano il ponte sullo Stretto

DA “LA REPUBBLICA” DEL 2-6-2023
IL DOSSIER
Ponte sullo Stretto, la bocciatura degli ambientalisti: “Chiuso per vento un giorno su otto e troppo basso per le grandi navi”
di Elena Dusi
Il dossier di Wwf, Kyoto Club e Lipu sul progetto di Salvini. Con raffiche di 60 chilometri orari le oscillazioni raggiungeranno i 12 metri e bisognerà interrompere il traffico. Dubbi anche sul rischio sismico. La campata alta 65 metri bloccherà alcune portacontainer. Posizionato sulla rotta delle migrazioni, è certa una strage di uccelli destinati a morire contro torri, funi e piloni
Bocciato in diritto, economia e anche in semplice algebra. Il progetto del Ponte sullo Stretto – per quel poco che se ne sa – è stato passato al vaglio dagli esperti di tre associazioni ambientaliste: Kyoto Club, Wwf e Lipu. Il loro dossier Lo Stretto di Messina e le ombre sul rilancio del ponte riduce il valore dell’opera a “slogan politico” dai costi esorbitanti (13,4 miliardi l’ultima stima) e dai benefici minimi, con una valutazione di impatto ambientale ormai datata e una progettazione portata avanti, per ora, senza una gara vera e propria.
Il vento
Il ponte, se sarà completato, resterà chiuso al traffico un giorno su otto per colpa del vento, sostengono le associazioni. Con raffiche di 60 chilometri orari l’oscillazione raggiungerà infatti i 12 metri, imponendo lo stop al traffico di auto e treni. In quei casi, imprevedibili per natura, dovranno rientrare in gioco i traghetti, che non potranno quindi essere smantellati. Con la sua campata alta 65 metri (al netto delle onde) il ponte bloccherà poi le grandi navi dirette a Gioia Tauro e negli altri porti del Tirreno.
L’altezza della campata
Nonostante le rassicurazioni del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, principale sostenitore dell’opera, secondo cui le imbarcazioni più alte di 65 metri “sono davvero poche e destinate esclusivamente al trasporto passeggeri, inoltre sono solitamente dotate di comignoli reclinabili”, secondo il dossier gli effetti del Ponte sul commercio internazionale sarebbero negativi.
Già a febbraio il presidente di Federlogistica Luigi Merlo aveva avvertito: c’è il rischio di creare un muro alla navigazione. “Considerando l’altezza media delle grandi navi da crociera, ma anche delle navi impegnate nel trasporto merci e container, si impedirebbe il transito di molte unità che già oggi operano in Mediterraneo, costrette a circumnavigare la Sicilia per raggiungere Messina o Catania partendo da Napoli”.
Il dossier di Lipu, Legambiente e Kyoto Club cita “diverse navi che superano attualmente l’altezza di 65 metri (la portacontainer Triple-E, varata nell’estate del 2013, ha un’altezza di 73 m, mentre la modernissima MSC Tessa ha un’altezza ancora maggiore). Considerando che il nuovo progetto per il porto di Genova è stato pensato per accogliere anche navi della categoria “post-Malaccamax” (cioè le più grandi attualmente esistenti) sembra inconcepibile immaginare un’opera che imponga un percorso decisamente più lungo per raggiungerlo”.
Il problema, secondo il dossier, non sarebbe quindi limitato a poche navi da crociera. “Nel 2022 erano attive 69 navi porta container di grandissime dimensioni, che non potrebbero mai passare sotto il Ponte, allo stato del progetto attuale”. Stesso problema per le imbarcazioni militari, “soprattutto per le porta-aerei. Le navi della classe “Nimitz” sono alte quasi 77 m. Anche alcune barche a vela, come il “Sailing Yacth A” sono alte 91 m”.
Il peso eccessivo
Non bastano però le critiche a frenare un Salvini deciso a puntare dritto sul ponte. La legge del 26 maggio con le “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria” è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale. “Il ponte si farà” ha dichiarato il Ministro in un’intervista al giornale francese Le Figaro e a quello spagnolo El Pais, annunciando l’apertura del cantiere nell’estate del 2024 e il transito della prima auto dopo 7-8 anni di lavoro.
L’idea di progetto esecutivo – a oggi inesistente – lascia però perplessi gli ingegneri. Se, come annunciato, il ponte sarà a campata unica, diventerebbe con i suoi 3.300 metri il più lungo del mondo. Lo stesso autore del progetto avanzato nel 2012, Remo Calzona, trovava le difficoltà tecniche difficili da superare.
A citarlo è sempre il dossier Wwf-Lipu-Kyoto Club: “I materiali da costruzione oggi disponibili, data la grande lunghezza del ponte e dei cavi portanti, prospettano un sistema strutturale principale (funi/torri/impalcato/pendini verticali) estremamente pesante, che finisce per sorreggere soprattutto se stesso. Il sistema di sospensione della soluzione messa a gara nel 2004 è costituito da quattro cavi di sezione netta di un metro quadrato ciascuno (…) e un peso complessivo di 196.800 tonnellate”.
Gli uccelli migratori
Una struttura così consistente si porrebbe al centro delle rotte degli uccelli migratori, destinati a scontrarsi e a morire contro torri, funi e piloni, soprattutto se illuminati di notte. La parte del dossier affidata alla Lipu (Lega italiana protezione uccelli) parla di 300 specie e milioni di individui in transito durante le migrazioni autunnali fra Africa ed Europa, fra cui 38 specie di rapaci.
La mappa di rischio sismico dello Stretto
La mappa di rischio sismico dello Stretto
Il rischio sismico
Il terremoto per cui il Ponte verrebbe progettato – una scossa di 7.1-7.2 Richter – fa riferimento al sisma di Messina del 1908, ma non è affatto il più forte fra quelli ipotizzabili in una zona particolarmente complessa dal punto di vista tettonico. Alcuni studi parlano di un possibile 7.8-7.9 e lo Stretto, nella mappa di pericolosità sismica dell’Italia, ha il colore viola: quello che segna i valori massimi. Perfino le due coste si spostano a velocità diverse l’una dall’altra, con la Sicilia diretta più rapidamente a nord-ovest e la Calabria a passo più lento verso nord-est. Lo Stretto, come conseguenza, si sta allargando di 3,5 millimetri all’anno. Si tratta di inezie, ma per un’opera alle frontiere dell’ingegneria hanno il loro peso. E le risposte capaci di dissipare questi dubbi, al contrario dei proclami, si fanno ancora attendere.
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