23 maggio 1992

Me lo ricordo bene quel maledetto 23 maggio del 1992. Stefano era nato da poco più di 1 mese ed aveva già cambiato i nostri orari, le nostre abitudini. Erano le 18,00 e stavo andando in Clinica, allora facevo parte di una equipe che operava a Villa Valeria, a visitare dei pazienti ricoverati. Tanto per cambiare, in macchina ascoltavo la radio. Appena uscito dalla galleria sotto la Collina Fleming, sulla Tangenziale, ci fu l’edizione straordinaria del Giornale Radio RAI che dava notizia dell’attentato. Ricordo che avvertii subito Gloria. La mia permanenza in Clinica fu breve, dovevo tornare a casa il prima possibile per vedere la televisione, per condividere con mia moglie il senso di angoscia che mi attanagliava. Quella sera fu la rappresentazione plastica della sconfitta dello Stato contro Cosa Nostra, ulteriormente rafforzata il 19 luglio, il giorno dell’uccisione di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta. Cosa Nostra sembrava invincibile.

Guardavo stasera lo sceneggiato che ricorda Boris Giuliano, il capo della Squadra Mobile di Palermo in quegli anni bui che hanno certificato l’ascesa dei Corleonesi di Leggio, Riina e Provenzano e sorridevo amaramente; il Procuratore Capo della Repubblica, il dott. Scaglione, che si reca da solo al cimitero senza scorta e viene trucidato assieme al suo autista. Giuliano si muoveva tranquillamente da solo per le vie di Palermo, addirittura seduto in un bar del centro con Mauro Di Mauro, altro “morto eccellente” di quegli anni e qualche tavolino più in là erano seduti Stefano Bontade e Tano Badalamenti, pezzi da 90 del gotha mafioso di allora. Per quanto possa essere stato immaginato da esigenze televisive, non credo che la scena reale sia stata molto dissimile da come rappresentata. Era diversa la mafia, quella che ancora romanticamente si immagina con un suo codice d’onore? E’ possibile che Bontade e Badalamenti si muovessero senza i loro accoliti a far la guardia? Era diversa, negli uomini dello Stato, la percezione del pericolo, come se ci fosse la convinzione di combattere un duello cavalleresco con i mafiosi con la vittoria riservata a chi è più bravo e non a chi è più spietato? Era diversa forse la percezione che Cosa Nostra aveva della lotta alla mafia, interpretata come una smania di un singolo e non come il giusto tentativo di far rispettare la legge dello Stato? Forse tutte queste cose insieme o forse sono domande stupide che mi sto ponendo in una serata senza sonno incombente.

Da stamane ripenso al giorno del funerale di Falcone e alla commozione, alle lacrime versate quando ha preso la parola Rosaria Costa, la vedova di Vito Schifani, uno degli agenti della scorta. Lo hanno fatto risentire al GR1 delle 8 stamattina e, ancora una volta, mi son venuti i lucciconi pensando alla disperazione di questa giovane donna la cui vita era stata brutalmente stravolta.

La disperazione anche dei Siciliani onesti, dei Calabresi onesti, di tutti i meridionali onesti al pensiero dello stupro giornaliero che subisce la nostra terra. Se penso alle potenzialità del nostro Mezzogiorno, ho in mente la mia Calabria, che non vengono sfruttate anche e soprattutto per questo cancro che ci corrode dentro, però, sento montare dentro rabbia, tanta rabbia, ed ammirazione per tutti coloro che sono rimasti giù e combattono giornalmente a viso aperto la mafia. Non mollate, la mafia si sconfigge con la cultura, che non è solo il sapere ma è anche educazione civica, cultura della legalità. Ma è assolutamente necessario che il Sud esca dal suo stato di bisogno cronico, c’è bisogno di lavoro, lavoro, lavoro. Ma lavoro vero, non il posto statale espressione del più schifoso assistenzialismo, perchè per ottenere quel posto spesso bisogna scendere a compromessi, farsi raccomandare, farsi aiutare da qualcuno verso cui diventi debitore. E questo è il brodo di coltura della mafia, padre della “cultura mafiosa”, proprio quella che si dovrebbe sconfiggere.

Ma c’è davvero questa volontà politica? Di “Emergenza Sud” si parla da sempre, con promesse sempre più roboanti man mano che si avvicinano le elezioni, ma, come detto, si parla, si parla, si parla. Basta parlare, servono fatti, fatti, fatti. Adesso. Ora. Subito

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