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Il lavoro del chirurgo

Sapete che il lavoro del chirurgo è davvero molto faticoso?
Parlo proprio di sforzo fisico unito a stress psicologico. Non fraintendiamo, la “fatica” di un lavoro non si misura solo dalla forza muscolare impiegata o dall’angolo di piegatura della schiena per sollevare sacchi di farina, tanti lavori sono molto faticosi, anche quello del chirurgo.
Spesso si devono mantenere posizioni innaturali per molte ore, serve una concentrazione massima e se qualcosa non va come dovrebbe (e quasi sempre è questione di secondi per provare a risolverla) lo stress e l’adrenalina aumentano velocemente. Alcuni movimenti delle mani sono “ampi” e veloci, altri finissimi e lentissimi. Bisogna conoscere benissimo l’anatomia e le possibili varianti, bisogna essere osservatori e dal ragionamento rapido. Spesso non si hanno orari, non c’è un momento di “fine lavoro”, si dipende dal caso. Non c’è certezza del “sonno notturno” come delle festività o dei week end.

Pensate a cosa possa significare chiudere un grosso vaso sanguino pensando che avete UNA sola possibilità per farlo agevolmente (se non si riesce al primo tentativo, ogni ulteriore tentativo sarà sempre più difficile). Pensate ad un’emorragia massiva ed improvvisa o ad un problema anestesiologico grave (il chirurgo non può sospendere tutto e rimandare l’intervento ma continuare, come se nulla fosse accaduto). Per tenere fermi strumenti e pinze, spesso bisogna fare molta forza, restare immobili con i muscoli tesi per molto tempo, chi assiste il primo chirurgo spesso è preda di crampi o tensioni muscolari (non ci credete? Chiedete pure ad un vostro amico medico).
Si suda tanto, si riflette, spesso si è rigidi per poter vedere meglio e naturalmente non c’è possibilità (in genere) di sedersi, mangiare, bere. Per tutto questo, un chirurgo, alla fine dell’intervento è stanchissimo.

Naturalmente tutto questo dipende dal tipo di intervento ma se la routine prevede durate da 1 a 4 ore, esistono interventi che richiedono 9 ore e più. Non a caso, per certe tecniche chirurgiche sono previsti precisi esercizi fisici ed una forma psicofisica ottimale.

Una volta, per questi motivi, la chirurgia era considerata un lavoro per uomini, serviva troppa forza e resistenza. Da qualche tempo, fortunatamente, anche le donne hanno iniziato a praticarla, con molto successo (ma una dose di “maschilismo” permane, purtroppo).

Per questo motivo, chi tra i giovani medici ha intenzione di intraprendere la via della chirurgia, sappia che serve molta dedizione, forza fisica e mentale e passione infinita.

Da MEDBUNKER

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Esami si -esami no

Leggo da tante parti lamenti contro l’indipendenza decisionale dei medici e lo smantellamento della sanità pubblica, sol perchè il Governo vuole far pagare le prescrizioni di esami strumentali ritenuti non necessari
Partiamo da un concetto fondamentale. Sono io e solo io, medico che visito il paziente, l’unico in grado di decidere “in quel preciso momento” quale sia il sospetto diagnostico e prescrivere, di conseguenza, gli esami strumentali che ritengo necessari a confermare o meno il dubbio diagnostico. Si, perchè tante volte gli accertamenti servono anche ad escludere alcune patologie e non solamente a “trovarle”. Su questo assunto penso che tutti noi medici siamo d’accordo
Ma, a meno che non vogliamo trasformarci in una massa di farisei, sappiamo bene che tanti esami richiesti non sono appropiati
Non entro nel merito della lista dei duecento e passa esami sotto la lente d’ingrandimento. Mi limito a due situazioni che, nella mia attività di specialista ortopedico, mi trovo a fronteggiare spesso e volentieri in ambulatorio.
Sopra i 50 anni, l’esame strumentale di scelta quando il paziente lamenta dolore articolare al ginocchio non è la risonanza magnetica, soprattutto se nella storia clinica non vengono riferiti eventi traumatici. Nel 99% dei casi il paziente viene a studio avendo già eseguito questo esame che il più delle volte è inutile. I sintomi, per lo più, sono determinati da un’artrosi di ginocchio più o meno avanzata, quasi sempre accentuata da una deviazione degli arti inferiori in varo (le gambe da cavallerizzo, per i non addetti) o in valgo (le gambe ad X nel gergo comune). In questi casi non solo la RMN è inutile, ma spesso è dannosa per le decisioni da prendere. Mi spiego meglio: sul referto certamente sarà presente una lesione meniscale su base degenerativa, da sovraccarico e il paziente già viene convinto che ha un “menisco rotto” e che dovrà essere “operato di menisco” (sempre per rimanere nel gergo comune). In questi casi invece l’esame elettivo è un semplice esame radiografico delle ginocchia sotto carico (si intende in piedi) per valutare l’entità della deviazione dell’asse di carico e quindi il restringimento della rima articolare interna (nel ginocchio varo) o esterna (nel ginocchio valgo). Solo se non c’è una deviazione significativa dell’asse di carico e se l’esame clinico orienta per un sospetto di lesione meniscale, è opportuno richiedere la RMN, che, a quel punto, ma solo a quel punto, può essere dirimente. Una meniscopatia degenerativa, in presenza di una alterazione dell’asse di carico, non si tratta chirurgicamente, se non dopo aver esplorato le possibili alternative terapeutiche e avendo l’accortezza di avvertire il paziente che il grosso rischio, dopo l’eventuale intervento, è quello di una accentuazione della sintomatologia dolorosa e del deficit funzionale determinata da un’accelerazione della degenerazione artrosica in un periodo medio-breve. Purtroppo la prassi è quella di operare sempre e comunque, perchè quasi nessuno si prende la briga di spiegare la differenza fra lesione traumatica o degenerativa del menisco. E poi noi medici siamo sotto la spada di Damocle della possibile denuncia per “malpratica”, istigata da avvocati senza scrupoli o comunque da una “sindrome da indennizzo” che tanti pazienti hanno nei nostri confronti.
In questo senso ben venga la possibile depenalizzazione dell’atto medico, come sembra verrà finalmente fatto, e l’inversione dell’onere della prova: sarà il paziente a dover dimostrare che io medico ho sbagliato e non io medico a dover dimostrare che ho seguito le linee guida. Finalmente, aggiungo sperando che questo si concretizzi a breve
Tornando agli esami strumentali più o meno appropiati, un altro esempio classico di eccesso di prescrizione è la patologia della colonna. Che senso ha richiedere una RMN della colonna lombosacrale in presenza di una semplice lombalgia senza nessun segno di interessamento dei nervi periferici? Eppure è quel che si osserva quotidianamente nella pratica specialistica. Poi magari lo stesso paziente che ha tanto insistito con il curante per farsi prescrivere una RMN non appropriata, si troverà con le liste d’attesa intasate e quindi con tempi lunghi per l’esecuzione di un esame fondamentale per dirimere il dubbio di una patologia neoplastica. E ovviamente la colpa delle liste d’attesa così lunghe sarebbe dei medici, neanche a dirlo ….
Siamo tanto bravi noi medici a chiedere, anzi a pretendere (giustamente aggiungo) una autonomia prescrittiva ai nostri governanti? Usiamo la stessa convinzione nei confronti dei pazienti ed abbiamo il coraggio di dire che quell’esame che lui richiede è inutile, almeno in quel momento di evoluzione della sintomatologia. Dobbiamo farlo soprattutto per non svilire il nostro ruolo. Se io sono SPECIALISTA in ortopedia, si presuppone che dovrei essere in grado molto meglio io del gastroenterologo di decidere se sia il caso o meno di sottoporre il paziente ad una RMN. E’ chiaro che in presenza di patologia gastrointestinale io oropedico rimando alle decisioni dello specifico specialista. Altrimenti saremmo specialisti in “tuttologia”, specializzazione che, considerati i continui progressi di tutte le branche della medicina, sarebbe difficilmente sostenibile

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Il “rischio guida” – parte seconda (Introduzione – guida e alcool)

Corsi di guida sicura e brochure informative contro gli incidenti stradali: l’INAIL di Tivoli scende in campo per combattere la “piaga” e coinvolge commercianti, venditori ambulanti, autisti del Co.Tra.L. e delle ambulanze, studenti neopatentati.

Lo scorso anno abbiamo pubblicato una brochure informativa con lo scopo di sensibilizzare coloro che per lavoro ogni giorno affrontano le strade. Il tutto è nato dai dati degli infortuni del 2012, relativi alla sola sede di Tivoli: su 2.884 infortuni sul lavoro, 932 sono incidenti stradali, il 32% del totale. Di questi, più della metà sono quelli che avvengono durante l’orario di lavoro (518), mentre i restanti avvengono nel tragitto “casa-lavoro”. L’opuscolo stampato è stato volutamente concepito per essere un manuale di facile fruibilità, scevro, ove possibile, di complicati termini tecnici o superspecialistici. con l’obiettivo di suggerire buone pratiche da seguire. E’ quindi facile da leggere, proprio perchè il nostro scopo è stato quello di raggiungere un numero di utenti quanto più possibile ampio. Oggi riprendo la seconda parte, rischi legati all’uso di alcool prima o, peggio ancora, durante la guida

Guidare è un’attività complessa che richiede chiara capacità di giudizio, buona coordinazione dei movimenti, riflessi rapidi e vista efficiente. Chi guida un veicolo deve esserne consapevole per non mettere a rischio la sua vita e quella degli altri. Basta questa semplice riflessione per farci capire che la guida e l’alcool sono assolutamente incompatibili. Bere e guidare non è indice di forza fisica, carattere, capacità di resistenza; indica solo presunzione sulle proprie capacità e scarso rispetto verso se stessi, verso i passeggeri e, non ultimo, anche verso chi affida i propri beni ad un autista che abbia bevuto. Se avete bevuto e dovete guidare, fatevi sostituire da altri alla guida. Gli effetti dell’alcol si fanno sentire anche dopo ore; tenetene conto se avete bevuto con abbondanza anche qualche ora prima di iniziare a guidare.
Gli effetti dell’alcol sulle funzioni sensitivo motorie e comportamentali riguardano in particolar modo:
 il campo visivo;
 i tempi di reazione;
 la capacità di concentrazione;
 la capacità di giudizio.
Il campo visivo è lo spazio fisico normalmente percepito con gli occhi da un individuo, con un’angolazione pari a circa 180°. A seguito di assunzione di sostanze alcoliche insorgono disturbi alla vista a causa della riduzione della visione laterale (cosiddetta visione a tunnel) e di una ridotta capacità di adattamento alla visione notturna.
Il tempo di reazione è l’intervallo di tempo che intercorre tra l’esposizione allo stimolo e la risposta conseguente. I tempi di reazione variano da individuo ad individuo e sono influenzati da diversi fattori. L’alcool rende difficoltosa la coordinazione dei movimenti e aumenta i tempi di reazione; i movimenti e gli ostacoli sono percepiti con notevole ritardo.
Assumere alcoolici crea un senso di benessere, di sicurezza ed euforia che porta a sopravvalutare le proprie capacità e ad affrontare rischi che in situazioni normali non sarebbero mai corsi, oltre a ridurre la capacità di impatto con nuovi problemi ed emergenze. L’assunzione di bevande alcoliche compromette inoltre le capacità di vigilanza, e induce sonnolenza.
Gli effetti sono diversi e strettamente correlati alla quantità di alcol presente nel sangue, cioè a quello che viene definito tasso alcolemico o alcolemia. Il tasso alcolemico si misura in grammi di alcol per litro di sangue; una alcolemia di 1g/litro indica quindi che in ogni litro di sangue del soggetto è presente 1 grammo di alcol puro; lo stesso tasso alcolemico può venire espresso anche nella forma 1o/oo (uno per mille) oppure 0,1 %.

La tabella che segue è indicativa di come l’aumento dell’alcolemia determini effetti via via più importanti e più limitanti delle capacità cognitive e di coordinazione

tabella alcool

 

 

 

 

 

 

Ma come si raggiungono questi valori? In altre parole, quanto si può bere prima di raggiungere i valori sopra indicati e prima di risentire effetti negativi?
La risposta non è semplice, perché tutto dipende dal meccanismo di diffusione dell’alcool (dallo stomaco al sangue e quindi ai liquidi cellulari del cervello), dal contenuto di alcool delle bevande, dal modo in cui l’alcool viene bevuto, dal sesso e dall’età del soggetto, dalla sua abitudine a bere alcolici.

Oltre ai valori dell’alcolemia massima, no_alcol_bigentra in gioco la diversa sensibilità delle persone a quei valori, e soprattutto alla velocità con la quale essi aumentano. Le alterazioni nelle funzioni psichiche e sensoriali, rilevanti per la guida, possono infatti innescarsi a valori diversi da quelli standard: ci sono persone che si ubriacano più facilmente di altre, e non sempre questa variabilità di reazioni dipende dall’abitudine o dall’assuefazione all’uso di alcolici; anzi spesso sono soggetti che abusano di alcool quelli che per primi e più intensamente ne subiscono gli effetti negativi.
Pertanto, visto che gli effetti negativi per la guida sono presenti anche con valori alcolemici bassi, vale la regola fondamentale: O GUIDI O BEVI .
A conferma di ciò bastano poche cifre: il rischio di incidente grave cresce in maniera paurosa all’aumento del tasso alcolemico: fatto pari ad 1 il rischio di incidente quando si è sobri, lo stesso rischio cresce a 380 quando il tasso alcolemico è pari o superiore a 1,5 g/l: in pratica, l’incidente grave non è più solo molto probabile, ma addirittura quasi sicuro. Ma anche semplicemente con valori compresi tra 0,5 e 0,9 g/l il rischio è 11 volte superiore!Un altro fattore che aumenta il rischio di incidente stradale è determinato dall’età: il rischio di incidenti gravi o mortali dovuti all’alcool è più alto nei giovani, probabilmente anche a causa dell’inesperienza. Con un tasso alcolemico elevato, ad esempio 1 g/l, automobilisti di 35-54 anni incorrono in un rischio di incidente 3-4 volte più elevato di un conducente sobrio; per la fascia d’età 25-34 anni il rischio sale a 6-7 volte, per quella di 18-24 anni arriva a 15.
Infine, la diffusione tra i giovani del bingedrinking, ossia l’abitudine di consumare grandi quantità di alcool in una sola occasione, innalza bruscamente il tasso alcolemico oltre 1,5g/l, livello che, come abbiamo detto, aumenta il rischio di incorrere in incidenti stradali di ben 380 volte rispetto a soggetti in condizioni di sobrietà.
Ma si sa, le regole sono fatte per non essere rispettate e tanti di noi di questo ne fanno un vanto. E sono convinti di conoscere il sistema per diminuire il tasso alcolemico o comunque ritardare l’assorbimento dell’alcool, quindi senza raggiungere il valore massimo (come se questo ci potesse comunque proteggere dagli incidenti!). Mangiare patate, o cipolle, o liquirizia, oppure cibi grassi, oppure aggiungere zucchero alle bevande sono solo alcune di questi sistemi miracolosi che, nella realtà, sono l’equivalente della spazzatura: la diffusione dell’alcol nei liquidi corporei e la sua “distruzione” da parte del fegato obbediscono a meccanismi biologici ben precisi, praticamente insensibili a “stregonerie” del tutto prive di fondamento o addirittura dannose. C’è un solo rimedio per evitare i danni dell’alcool alla guida: non bere o bere in modo molto moderato, oppure bere alcolici a bassa gradazione. Comunque, è necessario rispettare i “tempi di smaltimento” da parte del fegato.
Un aspetto importante, assolutamente da non sottovalutare è l’interazione fra alcool e farmaci, così come quella esistente fra alcool e droga. Tranquillanti, ansiolitici, ma anche antidolorofici, alcuni antistaminici, perfino sciroppi per la tosse interagiscono con l’alcool, potenziando reciprocamente gli effetti negativi, con notevoli disturbi a carico dell’attenzione e della percezione, ancor più rilevanti in una situazione di stanchezza, stress e mancanza di sonno. Chi fosse costretto ad assumere questi farmaci deve leggere attentamente i foglietti illustrativi dei medicinali ed evitate di ingerire alcol se da essi risulta anche la minima possibilità di effetti cumulativi. Gli effetti cumulativi sono invece sicuri ed “automatici” con tutte le sostanze psicotrope voluttuarie (anfetamine, hashish, marijuana, eroina, sostanze di sintesi ecc.). I rischi sono ben noti a chi usa queste sostanze: insistere oltre sulle conseguenze devastanti di certi mix non è certamente necessario.

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