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40 anni di laurea

Ebbene si: sono passati 40 anni esatti da quando, il 2 novembre del 1982, erano grossomodo le 17,45, venivo proclamato dottore in Medicina e Chirurgia. Diventare “dottore”, cioè colui che ha il compito primario di salvaguardare la vita e curare i suoi pazienti, il giorno della commemorazione dei defunti non mi sembrava tanto adeguato, ma l’euforia di quel giorno la ricordo ancora. Soprattutto ricordo il sorriso di mio padre, la sua soddisfazione e, per me, una ulteriore gratificazione, avendogli fatto un bellissimo regalo: io, figlio di ferroviere, ero diventato un medico e nei 6 anni canonici del corso di laurea.
Ne sono successe tante di cose. Sicuramente non sono la stessa persona di allora, non ho più l’entusiasmo di 40 anni fa. Ma non sono cambiato solo io, mi sembra sia cambiato il concetto stesso di medicina. Ho sempre pensato che il centro del nostro lavoro, che nonostante tutto continuo a considerare “il lavoro più bello del mondo”, sia il paziente, che va seguito in tutto e per tutto. Se un malato si rivolge ad un medico, che sia io o qualunque altro collega, noi diventiamo responsabili di tutto il suo percorso di cura e dobbiamo farcene carico, anche avendo l’umiltà di riconoscere i nostri limiti e coinvolgendo, se del caso, un altro collega che nel campo sia eventualmente più bravo di noi. E questo non significa “scaricare” il paziente, ma accompagnarlo, rimanendogli accanto, in questo nuovo percorso
Purtroppo, nel tempo, il mio idealismo si è scontrato con la sempre più evidente privatizzazione della Medicina. Per carità, non facciamo i medici per la gloria, ma non è ammissibile che esistano pazienti di serie A, di serie B o di serie inferiori, secondo che siano totalmente paganti, assicurati, e qui la considerazione dipende dalla serietà e soprattutto dagli onorari che l’assicurazione riconosce, o a carico del sistema sanitario nazionale, parzialmente (pagano il ticket) o totalmente (ticket esenti). E’ inevitabile che le strutture ospedaliere, oggi divenute “Aziende Ospedaliere”, debbano produrre profitto: una “azienda” non può lavorare a lungo in perdita. Ma il profitto non deve essere prodotto sulla pelle della gente, anzi, della “povera gente”. E soprattutto, il paziente deve essere sempre rispettato: è una persona, non un numero di letto o una patologia.
Fortunatamente esistono delle isole felici. Quasi un mese fa ho passato il guado, diventando io paziente, essendo stato sottoposto ad un intervento programmato, ironia della sorte di pertinenza ortopedica. Mi sono rivolto ad un amico, prima che collega, in cui ripongo massima fiducia, sia professionalmente che umanamente, il prof. Joe Logroscino, che esercita adesso presso l’Ospedale San Salvatore a L’Aquila. Sono stato ricoverato in un reparto a misura d’uomo, in cui personale sanitario, infermieri e OSS (operatori socio-sanitari, per chi non è del mestiere) trattano tutti i pazienti con una disponibilità assolutamente ammirevole, da indicare come esempio. Da L’Aquila sono stato trasferito per la riabilitazione post-operatoria al CEMI 4 del Gemelli. Un reparto dove mi sono sentito quasi a casa, tanto è la sollecitudine, la sensibilità che medici, infermieri, OSS e fisioterapisti dimostrano nei confronti dei ricoverati. Qualcuno potrebbe pensare che in entrambe le strutture io possa essere stato facilitato dal mio essere medico e quindi trattato con un occhio di riguardo. Assolutamente no, le attenzioni nei miei confronti erano del tutto simili a quelle verso gli altri “compagni di sventura”
Bisogna saper cogliere gli aspetti positivi di tutte le nostre esperienze, belle o brutte che siano. Ed io credo che per un qualsiasi operatore sanitario, medico, infermiere, OSS, fisioterapisti e chi più ne ha più ne metta, la sventura di una malattia, e quindi guardare il mondo da “sdraiato sul lettino”, sia una enorme possibilità di crescita, perchè da la possibilità di comprendere, vivendolo sulla propria pelle, ciò che il paziente si aspetta da noi. Ma sarebbe altrettanto formativo che i politici di tutti gli schieramenti, che in questi anni hanno massacrato la sanità pubblica, così come i vari manager che gestiscono le Aziende Ospedaliere o le Aziende Sanitarie Locali, possano avere anch’essi il “piacere” di questa esperienza, ma vissuta non nella bambagia di una clinica privata o nelle stanze a pagamento dei vari Ospedali, ma in corsia, come la gran parte degli “umani”. Mi sentirei di scommettere che molte cose cambierebbero

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TERRA SANTA 2022 – 6° PARTE

Terra Santa 2022
1-10-2022: nonostante lo shabbat, il sabato in Israele è festivo come la nostra domenica, nuova sveglia all’alba e si riparte verso il Monte degli Ulivi. Ieri ci siamo fermati alla sommità, Ascensione e Pater Noster, oggi iniziamo la nostra ideale discesa verso Gerusalemme per prepararci alla Pasqua di Gesù. La strada, molto ripida, inizialmente propone una deviazione verso “le Tombe dei Profeti”, cimitero ebraico che abbiamo superato senza fermarci (chissà di quali Profeti si tratta …). Il cimitero, oltre questo specifico spazio riservato ai Profeti, si estende fino all’altro versante della valle di Cedron in una sorta di prosecuzione ideale con le tombe che ho descritto nel corso della passeggiata notturna lungo le Mura di Gerusalemme.
Per tornare a noi, la nostra prima sosta programmata, e non poteva essere altrimenti, è al Dominus Flevit, che si ritiene essere il luogo, descritto nel Vangelo di Luca e di Matteo, in cui Gesù, osservandola, piange su Gerusalemme. La vista sul versante orientale del Muro è splendida e si riesce a vedere in parte anche la Spianata delle Moschee con la cupola dorata, o cupola della Roccia, della moschea di Omar e quella scura della moschea di Al Aqsa. Anche la sommità scura del Santo Sepolcro è ben visibile. Purtroppo, e questo è un inciso, lo skyline è assolutamente rovinato dai grattacieli che stanno costruendo nella zona nuova della città.
Amedeo, nel corso delle sue riflessioni sul brano evangelico, ci fa notare che Gerusalemme è ciascuno di noi, io che scrivo, tu che stai leggendo, il portiere notturno dell’albergo dove sto in questo momento, e così via. Gesù piange per noi, perché non lo accettiamo, perché lo neghiamo, semplicemente per la nostra indifferenza. E piange essenzialmente perché ci ama: non si piange per un estraneo
Riprendiamo la nostra discesa e, in prossimità della Basilica delle Nazioni, più precisamente sulla cancellata che la delimita dietro, mi vanno gli occhi su un cartello scritto in francese, che riporta un verso del Vangelo di Matteo, circa i momenti che precedono il tradimento di Giuda e l’arresto di Gesù, e relativo commento che riporto integralmente perché mi ha colpito in maniera particolare. “Il “Si Padre” che Gesù pronuncia in una totale adesione alla Sua volontà, gli permette di attraversare la profondissima notte della tentazione e della sofferenza e Lo conduce alla vittoria. Così dunque le notti che noi attraversiamo condurranno anch’esse alla vittoria, nella misura in cui noi diremo “Si”, abbandonandoci alla volontà di Dio”
Gesù sapeva bene a cosa andava incontro, eppure, pur avendo attraversato un momento di sconforto, “se puoi allontana da Me questo calice”, abbandonato dagli amici, gli Apostoli che non riescono a stare svegli, accetta il suo destino affidandosi al Padre: “sia fatta la Tua, non la Mia, volontà”. Osservando gli ulivi dell’orto di Getsemani, mi chiedo quante volte mi sono comportato come Pietro, Giacomo e Giovanni, addormentandomi e lasciando solo il Signore che mi chiedeva di stargli vicino e pregare con e per Lui; quante volte sono stato Giuda, ho tradito quel patto di amore che Lui ha stipulato con ognuno di noi. Eppure Gesù non porta rancore nei confronti dei Discepoli, tutt’altro. Una volta risorto li va a cercare e li saluta con il “Pace a voi”, indicativo che Lui ha perdonato, come dimostrerà anche dopo. Addirittura saluta Giuda, dopo il bacio, con il termine “amico”. Eppure lo stava tradendo, gli spalancava le porte della Passione. E Gesù sapeva bene a cosa andava incontro, ma lo chiama amico. Per i nostri parametri comportamentali è assolutamente sconvolgente, impensabile, ma penso che, solo immergendoci nello spirito che aleggia su questo luogo, possiamo comprendere l’enormità di questo messaggio d’amore. E questo devo assolutamente portarlo a casa e compiere il passo che Giuda non ha fatto. Lui non ha retto ed ha preferito uccidersi, io voglio vivere, voglio tendere la mia mano ed afferrare quella che Gesù continuamente mi tende per portarmi vicino a Sé.
Questo è stato il pensiero che mi ha accompagnato per il resto della giornata, alla grotta dell’arresto sempre lì a Getsemani (a proposito, non l’ho detto, ma il significato di Getsemani è “frantoio”; gli scavi condotti nella grotta hanno permesso di trovare una macina per la pressa delle olive)
Rapida visita alla tomba vuota di Maria, essendo stata la Vergine assunta in cielo in corpo e anima.
Nel pomeriggio, dopo la visita alla piscina delle Pecore, o di Betzaeda, luogo del miracolo della guarigione del paralitico (“alzati, prendi la tua lettiga e va”), Santa Messa celebrata alla Cappella della Flagellazione dal caro Padre Alessandro, guida in due dei miei precedenti pellegrinaggi, che tanto mi ha insegnato
La giornata si è conclusa con la Via Crucis, a partire proprio dalla Flagellazione lungo la Via Dolorosa, il tragitto che si presume abbia percorso Gesù, che si snoda fra i negozietti e le bancarelle del suq arabo, fino al Golgota e poi al Sepolcro, dopo la morte in Croce. Anche Lui, verosimilmente, è passato in mezzo alla folla trascinando sulle spalle la Croce e nessuno, se non costretto, lo ha aiutato. Utilizzando lo stesso ragionamento fatto riguardo Getsemani, Gesù continua a portare la sua Croce, i nostri peccati, in mezzo alla folla. Io voglio aiutarlo a diminuire un po’ il peso?
E’la domanda che mi sono posto davanti al Sepolcro e che porterò con me domani sull’aereo verso a Roma, insieme alle altre che sono emerse nei giorni scorsi

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TERRA SANTA 2022 – 5° PARTE

Terra Santa 2022:
30-9-2022: la stanchezza fisica inizia a farsi sentire e il don per eccellenza ci ha concesso, bontà sua, mezz’ora di sonno in più, che poi si traduce in “colazione alle 7 e partenza alle 7,40”. Anche oggi però la tattica ha funzionato, per cui il tempo di percorrenza verso Ein Karem, tragitto comunque relativamente corto verso un quartiere collinare periferico di Gerusalemme, è stato abbastanza breve
La Chiesa di San Giovanni Battista è in ristrutturazione, per cui la visita è stata abbastanza breve. Recitato il cantico di Zaccaria, marito di Elisabetta e padre di San Giovanni Battista, ci siamo spostati verso la Chiesa della Visitazione, posta in ricordo della visita che Maria, in cui si è appena incarnato Gesù, compie per aiutare la cugina Elisabetta, incinta in tarda età. Il brano del Vangelo riporta la meravigliosa risposta che la Madonna da ad Elisabetta “l’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore … “, di cui Amedeo ha fatto una bellissima esegesi. Durante l’omelia, nel ricordare l’incontro fra le due donne, entrambe incinte e il “sussulto” di Giovanni Battista nell’udire la voce di Maria (secondo Amedeo, in quel momento il Battista è stato battezzato) ci ha sottolineato l’importanza di condividere la gioia, cosa che oggi facciamo raramente. In genere, nei momenti tristi cerchiamo il conforto degli amici, oppure ci chiudiamo in noi stessi; il momento di gioia invece, spesso, per non dire quasi sempre, non viene condiviso, cosa che dovremmo cominciare a fare, seguendo l’esempio di Maria ed Elisabetta, due donne di diversa età, che per intervento divino sono entrambe incinte, che si incontrano perché la prima, un po’ fanciullescamente, parte da Nazareth per arrivare fino a Ein Karem, come si pensa convenzionalmente. Ci sono infatti solo ipotesi circa la collocazione della casa di Zaccaria ed Elisabetta in questa località
Nel primo pomeriggio siamo saliti al Monte degli Ulivi, ove, alla sommità, viene convenzionalmente situata l’Ascensione del Signore. Confrontando i vari testi evangelici e soprattutto gli Atti degli Apostoli, non vi è certezza del luogo dell’Ascensione. Tra l’altro, a ricordo, sorge un edificio che è moschea, ma che, solo nel giorno dell’Ascensione diviene Chiesa per cui si possono celebrare Messe; solo la Custodia di Terra Santa, cioè i frati francescani all’interno, mentre Ortodossi e Armeni possono anch’essi celebrare nel giorno dell’Ascensione, i calendari liturgici spesso non sono coincidenti, ma all’esterno
Nel ricordare la invisibilità di Cristo Risorto, Amedeo ha ribadito che siamo noi la sua testimonianza vera; chi vuole accostarsi alla fede cristiana, chi è in crisi religiosa ci giudicherà per quello che facciamo non per quello che diciamo. E, affermiamolo francamente, spesso l’esempio della Chiesa, anche quella ufficiale, non è e non è stato dei migliori.
Successivamente ci siamo recati alla Chiesa del Pater Noster, che vuole ricordare, convenzionalmente, il luogo ove Gesù avrebbe insegnato a pregare agli Apostoli. Amedeo ci ha regalato un momento emotivamente fortissimo, recitando il Padre Nostro in aramaico, la stessa lingua di Gesù. Avevo deciso di ascoltarlo ad occhi chiusi, ed ho fatto bene perchè è stata un’esperienza da brividi. Una delle particolarità della chiesa è quella di avere, all’esterno, credo, ad occhio, un centinaio di versioni della preghiera nelle varie lingue del mondo, oltre che in tanti dialetti, anche quelli che neanche ti aspetti, tipo il comacchiese. Sono andato a cercarmi la versione calabrese, che, ovviamente, ho trovato
Siamo tornati relativamente presto in albergo ed ho fatto un salto al Santo Sepolcro. Ho tanti amici che mi hanno chiesto una preghiera particolare ed ho deciso di portare lì, al Sepolcro i desiderata di tutti. Quale posto migliore, il centro della nostra fede! Ho beccato una cerimonia credo armena che mi ha bloccato per almeno 20 minuti. E pensare che avevo solo 4 persone in fila davanti a me!. Ma sono riuscito ad entrare, a salutare il mio amico Gesù; uno degli impegni che prenderò sarà quello di parlare con Lui come posso parlare con i miei amici più cari, con la stessa sincerità, con la stessa disponibilità che ho nei loro confronti. E’ un po’ il ritornello su cui sta battendo Amedeo: per quanto noi possiamo considerarci piccoli, poca cosa, “miserabili” (è il termine che usa spesso), Dio ci ama così come siamo, non dobbiamo sentirci inadeguati davanti a Lui. E’ ovvio che dobbiamo puntare a migliorarci, senza nasconderci dietro uno dei detti più falsi che girano, come ha affermato stasera don Vincenzo, la nostra guida in Galilea che è passato a salutarci: “tra il dire e il fare c’è di mezzo … una decisione da prendere”
E si ritorna al quesito che ronza in testa fin dal secondo giorno: “come usciamo da Cafarnao?”
Felice di aver intrapreso questo viaggio, mi sta arricchendo oltre le mie più ottimistiche previsioni
Domani giornata campale: si torna sul Monte degli Ulivi per scendere a piedi verso Gerusalemme; ci fermeremo al Dominus Flevit, da dove Gesù pianse per Gerusalemme, arrivando fino a Getsemani e alla Basilica delle Nazioni; andremo alla Tomba (vuota) di Maria e, credo, alla piscina di Betzaeda, ove fu guarito il paralitico. Nel pomeriggio, Santa Messa alla Flagellazione da dove, al termine, inizierà la via Crucis lungo la via Dolorosa che si concluderà, ovviamente, al Sepolcro

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