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Chiusi in casa è meglio che chiusi in cassa

Oggi terribile record, 993 morti. Eppure, a giudicare dai commenti che si leggono, il problema principale è la riapertura delle piste da sci, la necessità di festeggiare Natale e Capodanno con cenoni e veglioni, l’accusa al Governo di “volerci chiudere in casa”. Personalmente preferisco essere “chiuso in casa” piuttosto che “chiuso in cassa”, ma, al di là di ciò, credo sia immorale discutere di sci, slittini, skypass, viaggi all’estero, adunate familiari con le solite tavolate natalizie, di fronte a tutti questi morti, a tutte queste famiglie che non avranno voglia di festeggiare. Famiglie che si aggiungono a quelle degli oltre 12000 morti (DODICIMILA, lo scrivo in caratteri maiuscoli così si capisce bene) nel solo mese di novembre.
Penso al governatore della Lombardia, Fontana, che si preoccupa perchè “non ci si potrà spostare di comune in comune il giorno di Natale e Santo Stefano”, a suo dire “assolutamente inaccettabile perché non tiene conto della realtà lombarda. Sono cose – continua Fontana – che vanno nella direzione di una segregazione dei nostri cittadini, soprattutto degli anziani che rischiano di dover trascorrere le feste da soli”. Governatore Fontana, forse proprio perchè la realtà lombarda ci dice che oggi, e non è la prima volta che accade, la sua regione ha contato, da sola, un terzo dei morti di tutta Italia, 4 volte i morti del Lazio, che si è arrivati al punto di essere costretti a misure così restrittive. Lei dice che gli anziani rischiano di trascorrere le feste da soli. Io credo sia bene che gli anziani trascorrano le feste da soli, piuttosto che rischiare di continuare a morire, come purtroppo accede a quelli che sono ricoverati nelle RSA.
E non si creda che sia facile per me fare queste affermazioni. Non vedo mia madre, 91 anni, da 4 mesi e non è difficile immaginare quanta voglia io abbia di tornare a casa e trascorrere con lei il Natale, potrebbe essere l’ultimo insieme. Capisco bene però che la mia situazione possa essere quella di tantissime altre persone e non è il momento di abbassare la guardia. Bisognerebbe che si capisca che stare lontani è in realtà una grande manifestazione d’amore.
Siamo così sicuri di riuscire a reggere la eventuale terza ondata? Taccio della situazione sanitaria della Calabria, non mi va di sparare sulla Croce Rossa, ma per il resto? Praticamente tutte le regioni si sono fatte trovare impreparate, nonostante fosse comune conoscenza che in autunno il virus si sarebbe svegliato. Su Repubblica on line di oggi c’è un’inchiesta sul flop della sanità pugliese, tanto per nominarne una con una giunta di sinistra, per una non richiesta par condicio. Vogliamo parlare di quanto successo con i vaccini anti influenzali? Arrivano segnalazioni da quasi tutte le regioni circa le difficoltà a vaccinarsi, almeno in ambito pubblico
La verità è che è molto facile in questa fase criticare: se, nonostante le misure restrittive, i contagi non dovessero scendere in maniera significativa, i governatori avrebbero buon gioco a dire che le misure attuate non hanno dato alcun vantaggio e che, anzi, hanno affossato l’economia. Al contrario, si riuscisse a contenere i contagi, le critiche sarebbero concentrate per la gran parte sul versante economico, senza dimenticare l’aspetto affettivo (impossibilità a vivere le feste tutti insieme), l’aspetto religioso (la richiesta di anticipare la Messa di mezzanotte). E, tanto per gradire, qualcosa sui migranti (nello specifico non c’entrano nulla, ma per la nostra opposizione il “nero” sta bene su tutto)

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Elezioni comunali Reggio Calabria 2

Giuseppe Falcomatà rieletto sindaco di Reggio Calabria, dopo il ballottaggio contro Antonino Minicuci, candidato della destra, scelto personalmente da Matteo Salvini
Premessa necessaria: pur essendo di sinistra, fossi stato a Reggio al primo turno non avrei votato Falcomatà. Pur con tutte le difficoltà di bilancio (tanti reggini sembrano aver dimenticato la voragine nei conti del Comune lasciati dopo gli anni di governo del centro-destra), pur considerando l’inesperienza ci si aspettava di più, a cominciare da una migliore scelta dei collaboratori.
Ma, una volta arrivati al ballottaggio, non avrei avuto dubbi. Reggio non poteva diventare la bandierina della Lega al Sud. Ma soprattutto Reggio non poteva essere messa nelle mani di Minicuci. Non lo conoscevo ma è bastato seguire il confronto pre-elettorale per comprenderne lo spessore e le qualità. E’ riuscito nell’impresa ardua di far apparire Falcomatà un gigante della politica, quasi uno statista, il che è quanto dire
Mi auguro che le parole che il Sindaco oggi ha pronunciato di fronte ai suoi sostenitori siano seguite da atti concreti, ad iniziare dalla scelta degli assessori. Sarebbe bello se fossero espressione della società civile e non dei partiti. Non trascuri, signor Sindaco, che le liste civiche indipendenti hanno raccolto oltre il 10% dei voti. E non sto considerando la lista della Marcianò, che ha preso il 13%, e che ha raccolto comunque il dissenso di altri scontenti
Un’ultima considerazione, giusto per tenere i piedi ben saldi a terra e non intonare inni trionfalistici. Non ha vinto Falcomatà, ha perso la destra reggina, incapace di proporre un suo candidato, spaccata in lotte intestine fra malati di protagonismo, arrivata al punto di farsi imporre da Salvini un candidato che con Reggio c’entra come il parmigiano su una frittura di pesce
 

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Reggio Calabria: tutti stremati alla meta. E la Lega tenta la spallata

Un articolo uscito su Repubblica di oggi, firmato da Giuseppe Smorto, che ben conosce l’ambiente e la mentalità reggina, essendo nato e cresciuto a Reggio

REGGIO CALABRIA – In buona posizione nella classifica dei mestieri più difficili, il sindaco di Reggio Calabria sarà eletto lunedì, all’ultimo minuto e forse all’ultimo voto. Lo sfidante Nino Minicuci (centrodestra) e il sindaco uscente Giuseppe Falcomatà (Pd) si sono affrontati per la prima volta giovedì: Minicuci, quasi trent’anni in più, aveva disdegnato i dibattiti. Ha perso il suo aplomb in tv con un “che bip dici”, e passato il resto del tempo a smontare il lavoro dell’avversario.
E anche questa volta c’entra Salvini. Primo mistero, come il centrodestra abbia potuto candidare una persona targata Lega in una città così identitaria, dove ancora ci si divide sulla Rivolta di Reggio ’70. Dove la campagna elettorale si fa spesso in dialetto: che è strettese, con un tono di Sicilia. Minicuci è nato a Melito Porto Salvo, vive a Massa Carrara e ha fatto il segretario generale al Comune di Genova. Ha schierato anche una lista “Cambiamo con Toti”, dove ha brillato un ex vicesindaco della giunta Falcomatà, che ha cambiato casacca in zona elezioni, portando in dote un migliaio di preferenze. Già così, comincia a girare la testa.
Toti però era troppo impegnato e ha mandato un video, Salvini è a Catania e forse è meglio che resti lì. Perché Minicuci insiste a dire “io non sono leghista”. E il deputato Francesco Cannizzaro (Forza Italia), che lo affianca ovunque dopo aver lottato contro questa candidatura, ammette serenamente che l’effetto Lega ci sarà “e quindi se si vince, sarà grazie ai moderati”.
E poi però c’è Reggio, che perde mille abitanti l’anno e parla poco di politica. Una delle 14 città metropolitane, un Comune che ha 25 km di costa e una montagna che si tuffa nel mare, per cui il sindaco deve occuparsi del ripascimento della spiaggia di Bocale, della fontana di Tre Aie a 1500 metri di altitudine, di un ponte che collega piccole frazioni pre-aspromontane come Paterriti, che lo aspettava dal 1953.
Eccolo, il mestiere difficile. Dove le famiglie di ‘ndrangheta si dividono il territorio da semaforo a semaforo, ma c’è una generazione determinata e motivata di magistrati che lo sa. Dove esistono realtà come il Consorzio Macramè, che fa rivivere beni confiscati, dando lavoro alle cooperative minacciate: “Vediamo chi si stanca prima!”. Dove ci sono associazioni come “Reggio non tace”, ambulatori solidali come l’Ace di Pellaro, dove è curato gratis chi non ha i soldi o il tempo di aspettare il servizio pubblico: il suo fondatore, il dottor Lino Caserta ha firmato un appello anti-Lega, e chissà se ha votato Pd al primo turno.
Dove esistono scorci di assoluta bellezza e di sconcertante degrado: in entrambi i casi, il reggino-reggino si commuove e si arrabbia.
Su questa identità Falcomatà punta le sue carte, riunisce tutta la sinistra e ricorda l’eredità ricevuta: il primo Comune capoluogo sciolto per mafia e per irregolarità amministrative, con responsabilità firmate da personaggi che fanno capolino anche in questo ballottaggio. Quando arriva sul sagrato della chiesa dell’Itria, c’è una band che suona De Gregori e De André.
“Abbiamo amministrato la città senza un euro, la missione principale, ridare l’onore e la reputazione a Reggio. Ora che il governo ha cancellato il debito, l’ingiusto debito accumulato e nascosto dalla destra, possiamo pensare ad abbassare i tributi e a dare ancora più servizi”. Minicuci boccia la gestione Falcomatà, inciampa in un “siamo in una città del Terzo Mondo”, presenta un piano in 180 giorni, lo firma alla Berlusconi e garantisce le dimissioni immediate in caso di fallimento. Volenteroso e utile ma con tratti assai velleitari, visto che promette un condono edilizio e venti milioni di incasso.
E qui vengono fuori le sponde. Falcomatà punta su Roma “perché nessuno si salva da solo”: il ministro Provenzano (e Zingaretti, Bersani) sono venuti qui per i comizi. Minicuci guarda a Jole Santelli, garantisce un finanziamento straordinario per le strade, spera che le discariche della Regione aprano miracolosamente da martedì. Perché buona parte dello scontro è sui rifiuti, tema caldo – vedi Palermo – in tante aree del Sud. Falcomatà ha insistito per una differenziata porta a porta, con raccolta affidata a un privato e risultati scoraggianti. Nell’ultimo periodo, storie misteriose in salsa cilena.
Discariche chiuse a pochi giorni dal voto, altre che bruciano – come denuncia anche Capitano Ultimo, ora in giunta Santelli – , dipendenti in prima fila nella campagna, candidati contro il sindaco. 114 impiegati + 105 operai impegnati nelle operazioni di voto, a seguire “stato di agitazione fino al 4 ottobre”.
Tutti stremati alla meta. È stata una campagna lunga, non è mancato l’odio. La Fondazione intitolata a Italo Falcomatà (padre di Giuseppe e sindaco della “Primavera Reggina” dopo gli 800 morti di ‘ndrangheta) è stata devastata la notte prima del 25 aprile. Contestata la presentazione di un libro dell’inviato dell’Espresso Gianfrancesco Turano. Minacciata e insultata la nostra Alessia Candito, per aver scritto che le liste erano piene di fascisti, peraltro orgogliosi di esserlo.
E poi la feccia in libertà sui social. Per fortuna, c’è stata anche umanità: il sindaco che dice a una signora “Mi riconoscete?” e lei risponde “Sì, siete il pediatra”. Minicuci che prende per buono il sito satirico Lo Statale Jonico e durante un comizio alza la voce: “Anche l’Istat ha certificato che Falcomatà ha tagliato più nastri in venti giorni che in cinque anni, non lo diciamo solo noi!”.
C’è stata perfino polemica su Opera, la romantica e delicata installazione di Edoardo Tresoldi sul Lungomare, a qualche centinaio di metri dal Museo dei Bronzi. Finanziata con i Patti per il Sud, è già diventata luogo del cuore e di selfie: 46 colonne di rete metallica alte 8 metri, che fanno vedere e non vedere lo Stretto. Una lista ha proposto di riempirle di cemento, mentre Opera finiva sulle grandi riviste internazionali.
Minicuci ha tuonato contro l’ennesima inaugurazione, parlando in quella piazza Duomo che il suo rivale ha pedonalizzato, Falcomatà ha ricordato che il lockdown aveva fermato tutto e ha chiuso sulla nuova scalinata del Waterfront, che fa tanto Miami. I camioncini della spazzatura si sono dimenticati di qualche quartiere. Divisi fino alla fine, chi perderà avrà vita più facile, questo è sicuro.

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