Day Hospital di Oncologia

gemelliConsiderazioni rapide dopo un giorno di Day Hospital in oncologia medica di un noto ospedale romano.

Entrare nel mondo della oncologia, anche per un medico, vuol dire aprire la porta di un mondo sconosciuto. La prima cosa che salta agli occhi è senz’altro il gran numero di persone in attesa, sia al mattino che nel pomeriggio; tante, tante, tante. E, oltre il reparto dove siamo stati, bisogna aggiungere l’oncologia pediatrica, l’oncologia ginecologica e la senologia e i reparti di radioterapia. Dove ogni giorno c’è sempre lo stesso afflusso. Tutto ciò rende appieno idea della diffusione della patologia: un conto è leggere sui libri, sulle riviste del settore i numeri che riguardano l’incidenza delle neoplasie, ogni giorno in Italia vengono diagnosticati più di 1000 casi, un altro è vedere con i propri occhi la folla in ambulatorio, in DH o in reparto.

Seconda considerazione, assolutamente doverosa. Un grosso plauso ai medici e agli infermieri che dedicano la loro vita a questi ammalati. E’ quasi una moda parlar male della Sanità italiana, ma, se si pensa che ogni giorno che il buon Dio manda in Terra vengono compiuti nel nostro Paese oltre 10.000.000 (10 milioni) di atti medici, la percentuale dei cosiddetti casi di malasanità è assolutamente risibile. E, tra parentesi, non tutto quello che viene pubblicizzato come tale, è realmente “malasanità”. Ho visto, oggi come altre volte, colleghi arrivare alle 8,30 del mattino e andar via dal reparto la sera dopo le 19,00, sempre attenti alle richieste dei malati e dei familiari, sempre pronti con il sorriso ad una parola di incoraggiamento, a dare la forza di lottare a chi magari si sente scoraggiato. Ho visto infermieri non fermarsi mai per tutto il loro turno, affrettarsi a rispondere  a tutte le chiamate dei vari campanelli, sempre disponibili, sempre sorridenti,  continuando contemporaneamente ad insegnare ai ragazzi più giovani i vari passaggi dei trattamenti e delle terapie in corso.

Un altro aspetto da considerare è quello dei costi dei farmaci che vengono utilizzati per le terapie, spesso molto elevati e che sono totalmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Bisogna ricordarlo quando si inizia a straparlare di privatizzare la Sanità, non tutti potrebbero permettersi i trattamenti, che spesso sono salvavita.

La sala d’attesa dell’oncologia e il reparto sono strane rispetto alla maggior parte degli analoghi settori delle altre specialità: c’è un silenzio composto nell’attesa del proprio turno, un rispetto dei tempi degli altri pazienti che ti fa pensare, a volte, di non essere in Italia. Non c’è nessuno che faccia il furbo e tenti di scavalcare la fila, nessuno che protesti perchè qualcun altro è stato chiamato prima, quasi come se si comprendesse che si tratta di un caso più grave ed è giusto che passi avanti. Non ci sono raccomandati in oncologia e non ci sono persone abbandonate al loro destino neanche quando la medicina deve dichiarare la propria sconfitta: il malato viene “accompagnato” con rispetto fino alla fine del suo percorso, nel tentativo di alleviarne quanto più possibile le sofferenze.

Stamani facevo anche un’altra considerazione, guardando le persone in attesa del proprio turno. Il cancro è una malattia “democratica”, non fa differenze di sesso, di età, di censo, di tipo economico, può colpire indifferentemente chiunque, dal nobile al clochard, dal novantenne all’infante, non guarda alla tua professione: medico, magistrato, impiegato, pensionato, studente, operaio,  disoccupato, di fronte al tumore si è tutti uguali. E ci si trova nella stessa stanza con persone mai viste prima, a chiacchierare come se ci si conoscesse da tempo, uniti da questo filo invisibile ma quasi palpabile che unisce gli esseri umani nella malattia, pur essendo coscienti che non sai se la prossima volta rivedrai quelle stesse persone, ma con la consapevolezza che tu lotterai con tutte le tue forze per essere presente al prossimo appuntamento. E ci sarai comunque!

 

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