Giordania-Israele febbraio 2020 – parte 1

Diario di viaggio – parte 1. Ieri finito il pellegrinaggio in Giordania dopo 4 giorni molto intensi. Abbiamo vissuto situazioni molto diverse, oserei dire opposte. Arrivati ad Aqaba ci siamo sentiti assolutamente inadeguati con i nostri maglioni, giacconi, scarponi da trekking mentre intorno a noi, con 23° di temperatura alle 11,00 del mattino c’era gente in pantaloncini e magliettina, pronta ad andare a mare. A proposito, visto dall’alto il mare, che poi sarebbe il Mar Rosso, ha colori e trasparenze incredibili, assolutamente molto molto bello. Pronti, via e, abbandonata Aqaba dopo la messa, lo scenario è cambiato con la strada a solcare il deserto: distese di terra rossa, poche dune, qualche montagna, niente vegetazione, se non qualche arbusto qua e là e, ogni tanto, qualche alberello isolato, di minima altezza, che faceva pena a vederlo da solo. Mi è venuto naturale definirli “alberi eroi”. Inoltrandoci sempre più nel deserto, il panorama è cambiato ancora, con montagne sempre più frequenti, aspre, quasi taglienti nel loro profilo, disposte a circondare il Wadi-Rum, questa area naturale in cui abbiamo sostato per meno di 24 ore. Un ambiente fiabesco, che ha fatto da sfondo al famosissimo film “Lawrence d’Arabia”, interpretato da Peter O’Toole. L’escursione con i pickup ci ha consentito di ammirare da vicino angoli da sogno, con panorami da cartolina che le foto, per quanto precise, per quanto scattate con tutti i criteri del caso, non riescono a rendere. Nei punti in cui siamo scesi, per sostare in punti particolarmente paesaggistici, per ammirare grafiti e incisioni rupestri di migliaia di anni fa o semplicemente per gustare un thè alla maniera beduina, ci siamo resi conto delle difficoltà di camminare sulla sabbia (peggio che al mare). Mi è venuto naturale pensare, dato il tema del nostro pellegrinaggio, “sulle orme di Mosè”, agli ebrei partiti dall’Egitto con i bambini, le donne, i carretti carichi dei loro averi, gli animali, penso greggi di pecore e capre, in questo territorio decisamente poco ospitale. Deve essere stato un qualcosa di epocale, soprattutto considerata la sua durata di 40 anni, secondo quanto riportato sulla Bibbia. Direi che i motivi di sconforto, comprensibilmente, durante tutto questo lasso di tempo, sono stati tanti come numero, ma pochi in rapporto alla scarsa sopportazione che generalmente l’essere umano ha verso le difficoltà che si prolungano nel tempo
Abbiamo soggiornato, pranzo, cena, sonno e colazione, in una delle tante strutture sparse nel Wadi-Rum che riprendono gli accampamenti dei beduini ma che sono, verosimilmente, dei container rivestiti con tessuto spesso a mo’ di tenda. Sicuramente suggestive ma con una seri di problematiche abbastanza rilevanti: durante la notte la temperatura scende e, se è vero che nello spazio-notte ci sono dei caloriferi, il bagno viceversa ne è sprovvisto, per cui al mattino c’è un notevole shock termico. L’uscita dalle “tende” è posizionata su una pedana in legno che può essere anche sopraelevata, fino a oltre mezzo metro, il che di notte soprattutto, in presenza di illuminazione insufficiente, si può tradurre in elevato rischio di caduta come è successo ad una delle signore del nostro gruppo.
Il giorno successivo trasferimento a Petra con tempo in progressivo peggioramento. Descrivere l’emozione provata durante la visita nel sito di Petra è difficile, per vari motivi. Innanzitutto il percorso obbligato per raggiungerla: una strada in una gola tortuosa anche molto stretta, in alcuni punti al massimo 3-4 metri, fra pareti alte anche 100 metri. Durante il tragitto si osservano delle opere di estremo ingegno, soprattutto se si pensa che sono state realizzate oltre 2200 anni fa con conoscenza e modalità molto minori di quel che si potrebbe fare oggi: dighe per contenere, guidare e raccogliere l’acqua piovana che può anche essere abbondante, come abbiamo avuto modo di conoscere tragicamente, barriere per contenere eventuali frane, deviazioni forzate dall’acqua che altrimenti avrebbe avuto la possibilità di scorrere a fiumi dentro la gola con conseguenza anche gravi per la città antica. In secondo luogo per come all’improvviso, dopo l’ennesima curva in una ennesima strettoia, davanti agli occhi appare nella sua maestosità il Tempio del Tesoro con la facciata scolpita nella pietra, visibile chiaramente ancora oggi, nonostante l’evolvere del tempo (almeno 2000 anni). E come tacere del teatro, 4000 (avete letto bene, quattromila) posti a sedere, anch’esso scavato nella roccia posto per posto, fila per fila. Ed oggi, a sentire la nostra guida, il 90% di Petra è ancora sotto terra.
Improvvisamente la pioggerellina che, a sprazzi, aveva accompagnato i nostri 2 Km dall’ingresso fino all’arrivo al sito, diventa un vero e propio nubifragio, con tanta acqua che il terreno non assorbe. Si formano rapidamente rivoli e pozzette d’acqua in rapida espansione per cui decidiamo di intraprendere il viaggio di ritorno verso il punto di ingresso, percorrendo la gola in salita questa volta, con i rivoli d’acqua che rapidamente sono diventati ruscelli e poi veri e propri torrenti. Siamo arrivati a destinazione inzuppati, con le scarpe piene d’acqua, pantaloni bagnatissimi e sporchi di argilla da sotto il ginocchio verso la loro estremità, giaccone pesante per l’acqua assorbita, zaino con un paio di dita di liquido sul fondo. A noi è andata bene, molto meno bene, purtroppo, il giorno dopo ad un nostro giovane connazionale poco oltre i 30 anni, morto dopo essere stato colpito alla testa da una pietra di dimensioni non specificate, staccatasi da una delle rocce in alto.

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