Fra 48 ore sapremo come avranno votato gli Italiani e quale sarà il futuro di questo bello, e disgraziato aggiungo io, Paese. Un Paese con la memoria corta, pronto a consegnarsi nuovamente al Pifferaio di Arcore che si ripresenta come se arrivasse dalla Luna e non fosse uno dei principali responsabili della crisi economica che ci ha colpiti dal 2010 in poi. Vero, la crisi è stata mondiale, ma è altrettanto vero che la incapacità del Cavaliere e dei suoi ministri ha contribuito a far sì che l’Italia sia stato fra i Paesi più colpiti. E adesso, pur di farsi votare, promette mari e monti, con provvedimenti che, nel momento in cui venissero realmente attuati, produrrebbero un buco di bilancio che, al confronto, i conti truccati della Grecia sono giochini per bambini dell’asilo. Certo, a me la “flat-tax” farebbe tanto comodo! Passare dal 43 al 23 o, meglio ancora al 15% di aliquota sarebbe una svolta. Mi chiedo quale sarebbe il vantaggio di chi oggi paga il 27%, dato che verrebbero abolite le varie detrazioni e deduzioni fiscali. Ma tant’è.
Oppure ci si consegnerà alla massa urlante e arrabbiata dei pentastellati che minacciano di fare piazza pulita: la metà degli attuali parlamentari andrà in galera, l’altra metà dovrà trovarsi un lavoro (DiBa dixit). E’ il voto di pancia dell’Italia arrabbiata, convinta che la crisi sia figlia solo ed esclusiva dei privilegi della classe politica. Così basterà tagliare gli stipendi dei politici e tutto magicamente tornerà a posto. Oppure abolire le pensioni d’oro e portarle tutte a 3000 euro mensili e si risaneranno i conti dello Stato (come se non facesse fede, sull’importo della pensione, il totale dei versamenti effettuati, come sa chiunque, lavoratore dipendente o professionista, abbia chiesto all’INPS o al proprio fondo pensione). Il tutto per finanziare il massimo dell’assistenzialismo, il fantomatico “reddito di cittadinanza”
Chi voterò io domenica? Sono stato in grossa difficoltà, lo confesso. Chi mi conosce sa che ho sempre votato a sinistra, ma non mi ci trovo più in questo PD. La politica di Renzi, che all’inizio aveva fatto sperare in un rinnovamento profondo della classe dirigente del partito, in realtà si è trasformata in un “chi non è con me è contro di me”, in una sorta di personalizzazione della politica che ha avuto effetti devastanti. Credo che uno dei più grossi errori fatto da Renzi sia stato quello di personalizzare il referendum del 4 dicembre, trasformato in una sorta di referendum su se stesso, nella presunzione di essere ancora capace di spostare masse di voti, come alle ultime Europee. Ha ottenuto solo il risultato di risvegliare tanti spiriti dormienti, gente che la Costituzione non sa neanche cosa sia, ma che ha votato nella speranza che il buon Matteo abbandonasse effettivamente la politica.
Anche la mossa di mettere la fiducia sulla legge elettorale è stata pessima. Il Governo deve star fuori da una legge che, formalmente, è di iniziativa parlamentare. Non parliamo poi di una legge firmata da un parlamentare PD che sembra studiata da Calderoli, tanto è cucita addosso al centro-destra. Misteri che, da misero mortale, non riesco a capire. Eppure … il voto al PD mi sembra l’unico voto utile, dato che non ci sono alternative al populismo dilagante. Non si può rischiare di consegnare il Paese a Salvini o a Di Maio, pur con le dovute differenze; Salvini, a mio avviso, sarebbe un pericolo per la tenuta democratica, mentre Di Maio fa tenerezza nel tentativo di spacciarsi per statista, ma le capacità di Governo del M5S sono testimoniate in quel che (non) sta facendo la Raggi a Roma: nulla, il nulla cosmico. In 40 e passa anni che sto a Roma non la ricordo così sciatta, brutta, abbandonata. Ecco, abbandonata è forse la parola corretta. Non c’è alternativa al PD, dicevo, se non si è grillini o berlusconiani. D’altra parte, con tutti i suoi limiti, questa coalizione di Governo a traino piddino, in questi 5 anni di leggi ne ha approvate, molte delle quali erano state annunciate un po’ da tutti ma mai votate. Non farò la lista, la posterò a parte. Mi piace ricordare, fra le tante, la legge cosiddetta del “dopo di noi”, la regolamentazione del testamento biologico, l’istituzione dell’Autorità Anti Corruzione, anche la stessa riforma della Pubblica Amministrazione. Certo, c’è anche il Jobs Act, che tanto di sinistra non è. Ma occorre chiedersi: è meglio avere tanti diritti ma poco o niente lavoro oppure minori diritti e più possibilità di lavoro? Io non ho dubbi nel rispondere alla domanda. Occorre capire che il mondo è cambiato, che è finito il tempo del posto fisso, anche nell’apparato statale. Bisogna essere pronti a mettersi in gioco e dimostrare con i fatti le proprie capacità. Nessun imprenditore sano di mente si sognerebbe di licenziare un dipendente che dimostrasse attenzione, voglia di fare, disponibilità, elasticità mentale. Certo, se io pensassi di lavorare sotto casa, in orari che fanno comodo a me, mettendo paletti preventivi di vario tipo, dimostrando di non possedere nessuna flessibilità, non è questione di Jobs Act o di abolizione dell’articolo 18: è che dimostro con i fatti che io e il lavoro siamo due rette parallele, siamo destinati a non incontrarci mai.
So bene che sarò criticato per questa scelta, ma non è stato semplice arrivarci. Mi sono sentito, e per certi versi mi ci sento ancora, senza casa politica. Però non mi piace l’idea del “tanto peggio tanto meglio”. In questa situazione di marasma, in cui abbiamo probabilmente la classe politica meno dotata di carisma di tutta la storia repubblicana, scelgo il meno peggio e, per dirla alla Montanelli, mi turerò il naso e voterò PD, pur sapendo che, con tutta probabilità, la coalizione di centrosinistra arriverà terza dopo i berluscones o i pentastellati
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