La speranza infranta sulle onde

La tragedia dei migranti a Crotone nelle parole dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice, che condivido in toto e a cui va il ringraziamento più commosso:
**Quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni. Il ministro Piantedosi ha ribaltato la colpa sulle vittime.
I 63 morti di Cutro, fratelli e sorelle sfiniti dalla sofferenza della fuga da una patria martoriata e ingoiati dalle onde del nostro mare in un ultimo, disperato combattimento, hanno tentato fino all’ultima bracciata, fino all’ultimo respiro di sfiorare con le dita la speranza che fin qui avevano inseguito: toccare terra in un luogo capace di salvarli e di accoglierli.
La speranza di una terra diversa da quella che tragicamente avevano dovuto abbandonare perché incapace di assicurare il diritto alla vita e alla sicurezza dell’umanità in quanto tale. Non hanno riconosciuto, i nostri fratelli pakistani, afghani, iraniani, siriani, nell’orizzonte freddo della costa, avara di aiuti e incapace di cura per l’unicità preziosa delle loro vite, non hanno riconosciuto questa diversità della nostra terra rispetto a quella che li ha scacciati, perseguitati, minacciati, costretti all’esilio.
Ci avrebbero chiesto, se fossero riusciti ad approdare – ce lo chiedono gli occhi sgomenti, atterriti dei sopravvissuti – su cosa fondiamo oggi noi europei, noi occidentali, la promessa che abbiamo fatto quando abbiamo scritto la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo.
Ci avrebbero chiesto – e ora tocca a noi, da cittadini, da cristiani, chiedercelo e chiederlo a nome di ognuno di loro ai Governi italiano ed europeo – se abbiamo compreso che quella promessa l’abbiamo fatta innanzitutto a coloro che ancor oggi scappano dai luoghi in cui questi diritti sono sconosciuti, violati, e se ci siamo resi conto che lasciandoli morire li abbiamo violati noi stessi, per primi.
Non è solo dinanzi a quello che è accaduto in Calabria che ci sentiamo di dover fare questa affermazione, ma anche e soprattutto dinanzi alla negazione delle responsabilità, alla gravità della loro elusione, alla mancanza di consapevolezza politica ed umana da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali impegnate solo a stringere accordi con paesi come la Libia per trattenere e sospingere i migranti in veri e propri campi di concentramento.
Non c’è spazio oggi per i qualunquismi: è tempo per tutti noi di rifuggire con chiarezza da ogni narrazione tesa a colpevolizzare l’anello più debole della società. La responsabilità è nostra: quel che è avvenuto a Cutro non è stato un incidente, bensì la naturale conseguenza delle politiche italiane ed europee di questi anni, la naturale conseguenza del modo in cui noi cittadini, noi cristiani, malgrado il continuo appello di Papa Francesco, non abbiamo levato la nostra voce, non abbiamo fatto quel che era necessario fare girandoci dall’altra parte o rimanendo tiepidi e timorosi.
Il culmine simbolico di tutto ciò è stata la dichiarazione resa dal ministro Piantedosi, un uomo delle istituzioni che ha prestato il proprio giuramento sulla Costituzione italiana – la stessa Costituzione che prima di ogni altra cosa riconosce e garantisce quei diritti inviolabili dell’uomo –, il quale ha ribaltato la colpa sulle vittime. Come mi sono già trovato a dire, durante la Preghiera per la pace del 4 novembre 2022, rischiamo tutti di ammalarci “di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa”.
Come cristiani, memori della parola del Vangelo del Messia che si è fatto povero e ha sposato la causa dei poveri, insieme alle donne e agli uomini di buona volontà e alle numerose associazioni umanitarie impegnate nel Mediterraneo e sulle rotte di terra, crediamo che sia necessario rispondere ai tanti interrogativi ancora aperti sul naufragio di Cutro e che venga dissipato ogni equivoco sulla gravissima responsabilità di chi non soccorre i naufraghi lasciandoli morire in mare. Si aprano una volta per tutte i tanto attesi corridoi umanitari, si agisca sul diritto di asilo, si lavori sull’integrazione. Facciamo insieme di questa nostra terra un giardino fecondo di vita, in cui celebrare e sperimentare la convivialità delle differenze.**
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NAUFRAGIO A CUTRO

Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "KR14F9 Il codice identificativo di una bimba di 9 anni morta nel naufragio. Senza nome solo un codice. Abbiamo fallito tutti"Sono stanco, stanco e nauseato di ascoltare la narrazione corrente del fenomeno migratorio. “Stiamo difendendo i confini dell’Italia e dell’Europa” proclamano i nostri attuali governanti. Ma non vi vergognate? Ma avete visto da chi state “difendendo i confini?” Se valesse quanto dite circa la salvaguardia dei confini, come da anni sento blaterare dagli esponenti politici di destra in TV e in tutte le piazze d’Italia, estremizzando il concetto, il naufragio o la strage, come sarebbe più corretto definirla, avvenuta sulle coste calabresi avrebbe avuto l’effetto di respingere una pericolosa minaccia per la nostra integrità territoriale. Pensate che, per passare inosservato, uno di questi terribili invasori si era mascherato da bambina di 9 anni. La disumanità di questa tragedia passa anche da questa scheda, Kr14f9 (Krotone – salma 14 – femmina – età presunta 9 anni) una sigla, neanche un nome inventato, il nome di un fiore, un aggettivo. Disumano, non trovo altro termine. Ma una bambina di 9 anni come può minacciarci? Magari era una componente della famiglia di quel ragazzo afgano di 12 anni, unico sopravvissuto di un gruppo di 10 persone. Certo, secondo il nostro ministro dell’interno Piantedosi nessuna di queste persone sarebbe dovuta partire, se lo hanno fatto sono degli incoscienti. “Non devono partire, non devono partire”, il mantra lava coscienze di questi giorni.
Perché partono, bisognerebbe invece chiedersi. Nel caso fosse sfuggito, in Afghanistan, in Iraq, in Iran, in Siria c’è la guerra, che tra parentesi abbiamo portato noi occidentali. In Afghanistan ed in Iran c’è una situazione assolutamente invivibile per le donne, di qualunque età, basti pensare a tutti i divieti che hanno o al fenomeno delle spose bambine. Ministro Piantedosi, se lei vivesse lì, accetterebbe questa situazione per sua madre, sua sorella, sua moglie, sua figlia e “non partirebbe” o cercherebbe in tutti i modi di salvarle? Se vivesse in Iran lascerebbe i suoi familiari, soprattutto se di sesso femminile, in balia dei pasdaran che potrebbero ucciderle per una ciocca di capelli fuori posto? Se lei vivesse in Siria, dopo anni di guerra civile, bombardamenti, massacri e adesso il devastante terremoto di qualche settimana fa, rimarrebbe o partirebbe? Certo, possiamo istituire i corridoi umanitari. Come pensate di convincere i talebani a far partire gruppi familiari numerosi? O dovrebbero partire solo coloro che possano eventualmente essere impiegati come forza lavoro in Italia lasciando mogli e figli nel Paese di origine? Perché Assad dovrebbe far partire le famiglie curde, per esempio, che si sono ribellate al suo regime? Perché Al-Sisi, per tornare sulle rive del Mediterraneo, Al-Sisi dicevo, campione di democrazia (Giulio Regeni docet, ahinoi) dovrebbe agevolare un ponte aereo per far partire in maniera regolamentata i ragazzi egiziani che volessero venire a lavorare in Europa, in Italia in particolare?
Ipotizziamo di poter far ciò perché pensiamo che tutti questi esempi di alti statisti siano comprabili. Gli daremo soldi, tanti soldi, quelli di un fantomatico “piano Mattei” di cui si parla da anni per tacitarci la coscienza e non dover vedere lo scempio di Steccato di Cutro, dei corpi sulla spiaggia coperti dalle lenzuola bianche, dai naufraghi di Lampedusa qualche anno fa, i 700 e passa del barcone ribaltato sotto costa (anche quelli erano, secondo l’attuale vulgata, pericolosi invasori, addirittura per aumentarne il numero, una madre stava partorendo sul barcone ed è affogata con il neonato ancora attaccato al cordone ombelicale, ce lo ricordiamo o lo abbiamo rimosso?)
Io non ho la ricetta per risolvere il problema e comunque sono convinto che il problema, lo chiamo ancora così, aspetto un’altra definizione geniale dopo “carico residuale” o “genitori irresponsabili”, non abbia una soluzione a breve
La domanda da porsi è un’altra: nell’attesa, cosa si fa? Tutta la storia del mondo è caratterizzata dal fenomeno migratorio, per fame, per carestie, per guerre. Allora pensiamo di combattere gli scafisti, i trafficanti di esseri umani facendo morire la loro “merce” in mare? Qualcuno veramente è convinto che sia questo il modo di fermare la fuga di questi disperati?
Se è così, chiedo perdono per l’intrusione, sono io che non ho capito nulla. Forse perché provengo da una città costiera, sono sempre convinto che chi in mare è in difficoltà debba essere salvato sempre e comunque. Io ancora penso, stupido e ingenuo qual sono, che bianchi, neri, gialli, olivastri, italiani, europei, afghani, egiziani, africani, asiatici, siamo tutti figlio dello stesso Dio. Penso che le parole di Gesù trasmesse nel Vangelo (“ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. … In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, Matteo, 35-40) debbano essere vive nei nostri pensieri e nelle nostre azioni.
 
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Ogni tanto succede …

Succede, ogni tanto ma succede, che i tuoi sforzi di “umanizzare” il rapporto medico-paziente vengano riconosciuti. E fa piacere ritrovare sulla mail istituzionale messaggi che sono uno stimolo per tutti noi ad andare avanti
“”Da: Gxxxxxxx Dxxxxxxx <xxxxxxxxxxxxxxxxxi@giustizia.it>
Inviato: mercoledì 4 gennaio 2023 16:57
A: INAIL Roma Nomentano <romanomentano@inail.it>
Oggetto: Ringraziamento
Buongiorno! sono un giornalista dell’ufficio stampa del ministero della Giustizia. In seguito ad un incidente avvenuto il XX ottobre 202X che mi ha procurato due fratture scomposte, mi sono trovato a girare per numerose strutture sanitarie e sono rimasto sinceramente colpito dalla Vostra struttura che rifulge per professionalità. In questo periodo ho avuto modo di assistere a scene di tensione dovute alla condizione di dolore dei pazienti e alle attese causate dal numero spropositato di incidenti. Vedere questa miscela esplosiva disinnescata dal Vostro personale che, nonostante la lunga giornata lavorativa alle spalle, riusciva sempre e comunque ad offrire il giusto mix di autorevolezza, professionalità e empatia, mi ha reso orgoglioso di essere Italiano.
Al termine di questa esperienza sento il doveroso obbligo di ringraziare tutta la struttura a partire dal personale di vigilanza dell’entrata sino al personale medico la cui sapiente guida mi ha permesso di affrontare con maggiore serenità questo periodo.
Ringrazio sentitamente e colgo l’occasione per porgere i miei più cordiali saluti
Gxxxxxxx Dxxxxxxx”
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