Finalmente ho trovato il tempo per sistemare gli appunti di viaggio relativi agli ultimi due giorni del pellegrinaggio in Terra Santa.
Si parte presto stamattina in bus diretti in Samaria. Viaggio abbastanza lungo e che ci porterà in pieno territorio palestinese. Prima tappa sul Monte Garizim, il monte sacro dei Samaritani di cui oggi rimangono meno di un migliaio di persone, suddivise in due comunità, una a Nablus, ai piedi del Monte Garizim, l’altra a Tel Aviv. Sul Garizim, secondo i Samaritani, Abramo avrebbe condotto Isacco per sacrificarlo al Signore e un recinto delimita l’area dell’altare di pietra eretto dallo stesso Abramo. In prossimità sorgono le rovine dell’antica Sichem, la capitale della Samaria. Spiccano il perimetro ottagonale di una basilica bizantina, con le basi delle colonne che ne ornavano tutti i lati, e una torre sul bordo delle mura, discretamente ben conservata, trasformata in una “hueli” (spero si scriva così) musulmana ove sarebbe sepolto uno dei più valorosi generali di Saladino. E’ possibile dall’alto osservare il caos di Nablus, una delle più popolose città palestinesi. Nel panorama spicca un esteso campo profughi palestinese, sorto dopo la guerra del 1967 e che colpisce per il caos che si percepisce anche da lontano: case piccole, addossate l’una all’altra senza alcuno schema, alcun ordine. Viene spontaneo chiedersi come sia possibile vivere così, soprattutto considerando l’enorme numero di palazzi in costruzione che si vedono percorrendo le strade di Nablus. Eppure questa massa di disperati crede ancora che potrà un giorno ritornare a casa sua, in quella che oggi è Israele. Vana illusione, a giudicare dalla velocità di estensione degli insediamenti ebraici nei territori palestinesi. E’ altrettanto chiaro che i giovani che “vivono” questa realtà e non conoscono altro sono facilmente preda di fanatici islamici che hanno facile presa sulla loro disperazione. Percorrendo le strade di Nablus balza agli occhi l’abnorme numero di meccanici per auto e di negozi di ricambi per auto. Effettivamente le automobili in giro sono tante e anche di grossa cilindrata. Una malignità: probabilmente sono automobili con chilometraggi improponibili per essere rivendute in Europa, che vengono mandate per il loro “canto del cigno” in questi Paesi poveri in cui è difficile acquistare un’auto nuova per motivi meramente economici. Chiaro che questi “catorci”, non so come altro definirli, hanno necessità di continua manutenzione e questo spiegherebbe le tante officine disponibili e i tanti depositi di auto rottamate presenti sul territorio. Ennesimo esempio, se così fosse, di sfruttamento di popolazioni povere da parte dell’evoluto Occidente.
Sosta obbligata attraversando Nablus presso la Chiesa ortodossa ove è conservato il pozzo di Giacobbe, lo stesso pozzo ove Gesù, secondo il Vangelo, ha incontrato la samaritana
Santa Messa celebrata nell’unica chiesa di rito cristiano latino presente a Nablus. Abbiamo avuto difficoltà a trovarla e siamo giunti alla fine della canonica Messa domenicale. I pochi fedeli presenti ci guardavano felici, come se la nostra presenza, probabilmente un evento per loro, di per sè costituisse un modo per sentirsi meno soli
Pranzo tipico palestinese in un locale in vicinanza, anzi addossato, al colonnato di una basilica romana dell’antica città di Sebastia, con resti molto molto molto maltenuti. Non è possibile che vestigia così importanti siano tappezzati di erbacce e pieni di rifiuti, specie plastica. Dalla basilica si sale verso le rovine dell’acropoli, incontrando i gradini di un teatro, una scala che conduceva verso un tempio che doveva essere imponente, almeno a giudicare dalle basi delle colonne ritrovate e che, essendo proprio in cima alla montagna sovrastante Sichem, doveva essere visibile da molto lontano. Proseguendo il giro delle rovine, si arriva in prossimità dei resti di una piccola chiesa bizantina con una cripta ove sarebbe stato trasportato in un primo tempo il corpo, senza testa, di S. Giovanni Battista, poi trasferito nella cripta di una chiesa crociata costruita alla base della collina. I crociati non hanno avuto il tempo di completare la costruzione, dato che manca totalmente il tetto, prima che la zona fosse nuovamente riconquistata dai musulmani che hanno trasformato la costruzione in moschea
Nel programma la visita in Samaria era probabilmente il giorno più pericoloso, data la instabilità dei territori palestinesi. E’ stato invece l’ennesimo esempio di quanto siano rispettati i frati in Terra Santa, certamente per il rispetto che essi stessi mostrano nei riguardi delle altre religioni, e di quanto i pellegrini cristiani siano ben accetti da queste parti. In un contesto di povertà come quello che abbiamo potuto constatare con i nostri occhi, anche due euro che spendi per l’acquisto di un rosario possono essere determinanti per la sopravvivenza delle persone. Penso al vecchietto che ci voleva vendere i frutti appena raccolti, fichi d’India, fichi, e che, di fronte al nostro rifiuto, avevamo appena finito di mangiare e la frutta calda non è proprio il massimo, si è rivolto a Padre Alessandro chiedendo aiuto per i suoi 10 figli. Non elemosina, ma acquisto dei suoi prodotti. Anche questo è rispetto, anche in questo “si resta umani”
Ultimo giorno di permanenza a Gerusalemme e, prima di partire, chiusura col botto. Si va a piedi verso il Muro del Pianto, ciò che resta del perimetro occidentale del Tempio distrutto da Tito nel 70 d.C., luogo sacro di preghiera per gli Ebrei. Noi però saliamo e, superati i controlli di sicurezza, entriamo nella Spianata delle Moschee. Una particolarità, a proposito dei controlli. Padre Alessandro si è raccomandato, insistendo molto, sul non avere alcun simbolo cristiano in vista (crocefissi, rosari e via dicendo) né tantomeno Vangeli o Bibbie. Gli israeliani, cui sono affidati i controlli di sicurezza all’esterno, potrebbero bloccare l’incauto visitatore.
E’ una zona sacra per l’Islam perché da qui Maometto, secondo il Corano, sarebbe asceso in Cielo dalla roccia situata in cima al monte, oggi all’interno della Cupola della Roccia, che da essa prende il nome (mi ricorda qualcosa avvenuto secondo la nostra religione secoli prima, hanno un po’ scopiazzato i musulmani). Ma questa è una zona sacra anche agli ebrei in quanto sede del Tempio. Per noi cristiani il luogo è sacro perché frequentemente visitato da Gesù, con molti episodi della sua vita pubblica narrati nei Vangeli che hanno il Tempio di Gerusalemme come sfondo.
La Spianata delle Moschee occupa la gran parte dell’area in passato occupata dal Tempio, più precisamente dal Secondo Tempio. Spiccano a nord la cupola dorata, la Cupola della Roccia di cui parlavo prima, della Moschea di Omar, meravigliosamente decorata con una seria di arabeschi, e la moschea di Al-Aqsa a Sud, all’esterno certamente più “spartana”, anche se di dimensioni notevoli. Non siamo potuti entrare, ma, secondo quanto ci ha raccontato Padre Alessandro, all’interno le dimensioni appaiono ancora più imponenti considerando che si tratta di uno spazio totalmente aperto, ove non ci sono banchi, sedie, cappelle laterali o altari, come siamo abituati nelle nostre chiese e che riducono alla vista gli spazi disponibili; qui c’è solo una distesa di tappeti su cui i fedeli si inginocchiano e pregano.
Ponendosi fra le due moschee si riesce ad avere una idea, comunque parziale della vastità degli spazi. Per facilitare chi legge, l’area del Secondo Tempio, all’incirca, era di 500 X 300 metri. Un po’ come se mettessimo insieme 5 file, ciascuna composta da 5 campi di calcio allineati ed accostati insieme.
Bellissima la vista verso il Monte degli Ulivi con una nitida visione della strada che scende verso Getsemani.
Si conferma la mania delle purificazioni rituali con l’acqua, che già avevamo avuto modo di osservare come pratica routinaria degli ebrei ortodossi, Questi ultimi bagni rituali, i musulmani fontane ove possibile. Particolare la fontana di El-Kas, usata per le abluzioni, lungo la sua circonferenza, alla base cui si accede scendendo alcuni gradini, sono ordinatamente posizionati vari rubinetti, davanti a ciascuno dei quali c’è un piccolo sedile in pietra con tanto di schienale, che i fedeli usano per la loro purificazione prima di entrare in moschea
Altra considerazione: nonostante fosse chiaro che noi non eravamo musulmani, dato che la guida era Padre Alessandro con il suo saio francescano in bella mostra, da cui aveva rimosso solo il rosario, nessuno ci ha disturbato o ci ha detto alcunché, né a noi né ad altri gruppi di turisti occidentali. L’unico rimprovero urlato dai custodi è stato verso una coppia che stava in posa per la foto con la Cupola della Roccia sullo sfondo e lui aveva poggiato la mano sulla spalla di lei come per abbracciarla. A testimonianza che i pericoli per i pellegrini, quelli che spaventano tanto e che impediscono un afflusso ancora maggiore verso questi territori, sono in gran parte virtuali e non reali
Lascio Gerusalemme con il cuore colmo di gioia e, sembra paradossale dirlo data la storia recente di questi luoghi Santi, con un appagante senso di pace interiore
Arrivederci Gerusalemme. Sono convinto ci rivedremo ancora
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