Pellegrinaggio in Terra Santa 2018 – Appunti di viaggio (parte 1)

Primi rapidi appunti di viaggio del nuovo pellegrinaggio in Terra Santa.
Arrivati lunedì pomeriggio, giusto il tempo di sistemarsi e poi subito al Santo Sepolcro, per far conoscere, a coloro che hanno intrapreso per la prima volta questo viaggio, il centro della cristianità, il senso di quella tomba vuota che, se non fosse vuota, vanificherebbe il nostro credere, la nostra fede cristiana, come dice San Paolo
Rapida uscita dopo cena per ammirare il “festival delle luci”, manifestazione che si tiene tutti gli anni in questo periodo e che richiama una marea di gente nella Vecchia Gerusalemme, le cui imponenti mura diventano sfondo di incredibili giochi di luci e musiche. Troppa calca, troppa folla, per cui rapido rientro in albergo e recupero delle energie.
Martedì mattina sveglia all’alba e, alle 6,45, davanti al Santo Sepolcro dove, alle 7,00 in punto, il nostro gruppo ha avuto il privilegio di celebrare la Santa Messa dentro il Sepolcro di Gesù. Come lo scorso anno, emozione grandissima quella di poter appoggiare le mani sulla pietra su cui è stato adagiato il corpo senza vita deposto dalla Croce, di poter pregare per tutti noi in questi momenti così difficili, così pericolosiIl tempo di far colazione e poi trasferimento in autobus verso il deserto del Neghev. Il nostro autista ha pensato bene di farci fare la strada che attraversa, vicino Betlemme, il confine tra la Palestina e lo stato di Israele, così da farci provare il “brivido” del controllo passaporti a bordo. Inutile dire che la soldatessa israeliana, colpita dalle mia fattezze arabe, si è soffermata a controllare il mio documento con un minimo di cura in più
Prima tappa del viaggio Beer-Sheva, ove è conservato un pozzo che, stando a quanto riporta la Bibbia nella Genesi, sarebbe stato scavato da Abramo (all’incirca si parla, se non ricordo male, del 1850 a.C.. Il pozzo è posto all’ingresso delle rovine delle vecchie città costruite una sull’altra nel corso dei secoli. Abbiamo ammirato il panorama dalla sommità della torre che, dall’alto, domina le rovine. Non sono molto estese. Secondo la nostra guida avrebbe potuto contenere circa 200 abitanti. Particolare è un’enorme cisterna, se non ricordo male una sessantina di metri di profondità, oggi totalmente vuota. Si può scendere fino alla base attraverso gradini scavati nella roccia, su cui c’è da fare una certa attenzione, uscendo poi attraverso quello che è il sistema che convogliava l’acqua di due wadi che scorrono vicino e che sono in secca 11 mesi l’anno. E’ solo lungo il corso dei wadi che oggi c’è un po’ di vegetazione; per il resto deserto roccioso. Ogni tanto qualche insediamento di beduini con i loro dromedari e sparute greggi di capre e pecore. Mi è sembrato di aver visto, attraverso i vetri del pulman, un paio di bovini ma non ci giurerei. 

Seconda tappa del viaggio le rovine di Shivta, una città nabatea, inserita nel circuito della “via dell’incenso”, la via che percorrevano le carovane dei beduini che trasportavano le preziose spezie. Le città situate lungo la via dell’incenso, che partiva dall’Arabia e giungeva a Gaza passando per Petra, capitale dei Nabatei, dovevano la loro ricchezza al fatto di essere diventate, nel tempo, stazioni di sosta e rifornimento, più o meno importanti, per le carovane stesse. Shivta, di cui sono discretamente ben conservati gli absidi di due chiese bizantine, è stata distrutta da un terremoto nel 700 d.C.

Analogamente anche Avdat, altra città nabatea che deve la sua ricchezza al fatto di trovarsi lungo la via dell’incenso, è stata distrutta dallo stesso terremoto. Anche qui le rovine sono discretamente ben conservate, ma la città ha una peculiarità: si trova sul pianoro di un’altura che domina un’ampia area del deserto del Neghev e questo rende bene l’idea di quanto fosse cruciale. Le rovine sono state usate come sfondo per alcune scene di Jesus Christ Superstar, musical che risale alla mia adolescenza (se non sbaglio avevo 16 anni quando andai a vederlo al cinema la prima volta). Il paesaggio del deserto è decisamente affascinante. I Nabatei avevano anche sviluppato un sistema originale per sfruttare quella poca acqua piovana che cade su queste lande desolate, riuscendo a sviluppare anche delle coltivazioni
Certo che, per quanto affascinante possa essere il panorama, le condizioni di vita sono veramente dure ed è difficile comprendere come si possa morire per avere il dominio su terra e sassi. Commentavo con la nostra guida che, quando ci fu la suddivisione della Terra Promessa fra le 12 Tribù di Israele, quella cui è toccata il deserto è stata proprio sfortunata, almeno giudicando secondo i nostri attuali parametri. Certo, puoi decidere di fare una vita nomade, portando le bestie qua e là per sfruttare quel po’ di verde che riesce a crescere, ma non mi capacito di come si sia potuto anche lontanamente pensare ad un futuro di prosperità per la propria gente. Men che meno riesco a capire, oggi, perchè si debba vivere in uno stato di guerra perenne per un territorio siffatto. E’ vero che gli israeliani hanno creato delle piccole colonia, dei kibbutz (credo si scriva così), facendo arrivare acqua pompata a forza dal Mar di Galilea (lago di Tiberiade). Ma il livello dell’acqua, secondo quanto ci è stato detto, tende sempre ad abbassarsi, essendo diminuita la portata del Giordano, l’unico fiume che alimenta il lago. E la Galilea, la regione bagnata dal lago, è una regione fertilissima, abbiamo avuto modo di apprezzarlo lo scorso anno. Il rischio che l’acqua possa poi diventare insufficiente è alto. E poi?

Dopo l’escursione nel deserto del Neghev, dopo cena fra storia e illusionismo. Ci siamo avventurati fra le decine di migliaia di persone accorse proprio in prossimità della Porta di Jaffa, quella più vicina al nostro albergo, per assistere al Festival delle Luci, che si tiene ogni anno in questo periodo, per fare il giro delle mura che circondano la Vecchia Gerusalemme. Su vari settori delle possenti mura erette da Solimano il Magnifico nel 1500, vengono proiettati giochi di luce con un effetto ottico molto particolare. Di seguito alcune foto. Le più particolari sono certamente quelle della Porta di Damasco, la porta più monumentale, ai confini del quartiere arabo fuori delle Mura. 
Il lato orientale delle Mura, che si percorre a piedi fra le tombe di un cimitero musulmano (tra parentesi molto mal tenuto), guarda verso il Monte degli Ulivi, ai cui piedi c’è Getsemani con l’Orto e la Basilica dell’Agonia. Immagine sempre suggestiva da vedere, a maggior ragione di notte, ricordando che proprio fra quegli ulivi, 2000 anni fa, Gesù veniva arrestato, iniziando la Passione che doveva poi concludersi con la Crocifissione sul Golgota. Proseguendo, appena termina alle spalle il Muro Orientale, lo spazio diviene aperto e lo sguardo percorre le rovine, che vengono continuamente studiate e i cui vari strati vengono ancora portati alla luce, di quella che, inizialmente, era la periferia della Gerusalemme di Davide, originariamente posta più in basso verso la piscina di Sion. Mi erano sfuggite, lo scorso anno, le tombe dei Profeti, non meglio specificati i nomi di coloro che qui sarebbero stati sepolti.

Proseguendo il circuito, attraverso la Porta del Letame (o Porta dei Magrebini) si entra verso il Muro del Pianto. Incredibile come, ancora a quest’ora tarda, tanta gente si rechi a pregare. Trovo francamente intollerante la divisione nei settori di preghiera fra uomini e donne, anche materialmente divisi da una barriera solida, anche se sottile.

Siamo tornati in albergo a piccoli gruppi, Gloria ed io da soli, percorrendo, per nostra scelta, la Via Dolorosa. I negozi del suk sono chiusi, non c’è nessuno, a parte due ragazzini arabi che corrono e strillano, rincorrendosi fra loro. Inquietante. Ecco, questo è l’aggettivo giusto 

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