Un articolo uscito su Repubblica di oggi, firmato da Giuseppe Smorto, che ben conosce l’ambiente e la mentalità reggina, essendo nato e cresciuto a Reggio
REGGIO CALABRIA – In buona posizione nella classifica dei mestieri più difficili, il sindaco di Reggio Calabria sarà eletto lunedì, all’ultimo minuto e forse all’ultimo voto. Lo sfidante Nino Minicuci (centrodestra) e il sindaco uscente Giuseppe Falcomatà (Pd) si sono affrontati per la prima volta giovedì: Minicuci, quasi trent’anni in più, aveva disdegnato i dibattiti. Ha perso il suo aplomb in tv con un “che bip dici”, e passato il resto del tempo a smontare il lavoro dell’avversario.
E anche questa volta c’entra Salvini. Primo mistero, come il centrodestra abbia potuto candidare una persona targata Lega in una città così identitaria, dove ancora ci si divide sulla Rivolta di Reggio ’70. Dove la campagna elettorale si fa spesso in dialetto: che è strettese, con un tono di Sicilia. Minicuci è nato a Melito Porto Salvo, vive a Massa Carrara e ha fatto il segretario generale al Comune di Genova. Ha schierato anche una lista “Cambiamo con Toti”, dove ha brillato un ex vicesindaco della giunta Falcomatà, che ha cambiato casacca in zona elezioni, portando in dote un migliaio di preferenze. Già così, comincia a girare la testa.
Toti però era troppo impegnato e ha mandato un video, Salvini è a Catania e forse è meglio che resti lì. Perché Minicuci insiste a dire “io non sono leghista”. E il deputato Francesco Cannizzaro (Forza Italia), che lo affianca ovunque dopo aver lottato contro questa candidatura, ammette serenamente che l’effetto Lega ci sarà “e quindi se si vince, sarà grazie ai moderati”.
E poi però c’è Reggio, che perde mille abitanti l’anno e parla poco di politica. Una delle 14 città metropolitane, un Comune che ha 25 km di costa e una montagna che si tuffa nel mare, per cui il sindaco deve occuparsi del ripascimento della spiaggia di Bocale, della fontana di Tre Aie a 1500 metri di altitudine, di un ponte che collega piccole frazioni pre-aspromontane come Paterriti, che lo aspettava dal 1953.
Eccolo, il mestiere difficile. Dove le famiglie di ‘ndrangheta si dividono il territorio da semaforo a semaforo, ma c’è una generazione determinata e motivata di magistrati che lo sa. Dove esistono realtà come il Consorzio Macramè, che fa rivivere beni confiscati, dando lavoro alle cooperative minacciate: “Vediamo chi si stanca prima!”. Dove ci sono associazioni come “Reggio non tace”, ambulatori solidali come l’Ace di Pellaro, dove è curato gratis chi non ha i soldi o il tempo di aspettare il servizio pubblico: il suo fondatore, il dottor Lino Caserta ha firmato un appello anti-Lega, e chissà se ha votato Pd al primo turno.
Dove esistono scorci di assoluta bellezza e di sconcertante degrado: in entrambi i casi, il reggino-reggino si commuove e si arrabbia.
Su questa identità Falcomatà punta le sue carte, riunisce tutta la sinistra e ricorda l’eredità ricevuta: il primo Comune capoluogo sciolto per mafia e per irregolarità amministrative, con responsabilità firmate da personaggi che fanno capolino anche in questo ballottaggio. Quando arriva sul sagrato della chiesa dell’Itria, c’è una band che suona De Gregori e De André.
“Abbiamo amministrato la città senza un euro, la missione principale, ridare l’onore e la reputazione a Reggio. Ora che il governo ha cancellato il debito, l’ingiusto debito accumulato e nascosto dalla destra, possiamo pensare ad abbassare i tributi e a dare ancora più servizi”. Minicuci boccia la gestione Falcomatà, inciampa in un “siamo in una città del Terzo Mondo”, presenta un piano in 180 giorni, lo firma alla Berlusconi e garantisce le dimissioni immediate in caso di fallimento. Volenteroso e utile ma con tratti assai velleitari, visto che promette un condono edilizio e venti milioni di incasso.
E qui vengono fuori le sponde. Falcomatà punta su Roma “perché nessuno si salva da solo”: il ministro Provenzano (e Zingaretti, Bersani) sono venuti qui per i comizi. Minicuci guarda a Jole Santelli, garantisce un finanziamento straordinario per le strade, spera che le discariche della Regione aprano miracolosamente da martedì. Perché buona parte dello scontro è sui rifiuti, tema caldo – vedi Palermo – in tante aree del Sud. Falcomatà ha insistito per una differenziata porta a porta, con raccolta affidata a un privato e risultati scoraggianti. Nell’ultimo periodo, storie misteriose in salsa cilena.
Discariche chiuse a pochi giorni dal voto, altre che bruciano – come denuncia anche Capitano Ultimo, ora in giunta Santelli – , dipendenti in prima fila nella campagna, candidati contro il sindaco. 114 impiegati + 105 operai impegnati nelle operazioni di voto, a seguire “stato di agitazione fino al 4 ottobre”.
Tutti stremati alla meta. È stata una campagna lunga, non è mancato l’odio. La Fondazione intitolata a Italo Falcomatà (padre di Giuseppe e sindaco della “Primavera Reggina” dopo gli 800 morti di ‘ndrangheta) è stata devastata la notte prima del 25 aprile. Contestata la presentazione di un libro dell’inviato dell’Espresso Gianfrancesco Turano. Minacciata e insultata la nostra Alessia Candito, per aver scritto che le liste erano piene di fascisti, peraltro orgogliosi di esserlo.
E poi la feccia in libertà sui social. Per fortuna, c’è stata anche umanità: il sindaco che dice a una signora “Mi riconoscete?” e lei risponde “Sì, siete il pediatra”. Minicuci che prende per buono il sito satirico Lo Statale Jonico e durante un comizio alza la voce: “Anche l’Istat ha certificato che Falcomatà ha tagliato più nastri in venti giorni che in cinque anni, non lo diciamo solo noi!”.
C’è stata perfino polemica su Opera, la romantica e delicata installazione di Edoardo Tresoldi sul Lungomare, a qualche centinaio di metri dal Museo dei Bronzi. Finanziata con i Patti per il Sud, è già diventata luogo del cuore e di selfie: 46 colonne di rete metallica alte 8 metri, che fanno vedere e non vedere lo Stretto. Una lista ha proposto di riempirle di cemento, mentre Opera finiva sulle grandi riviste internazionali.
Minicuci ha tuonato contro l’ennesima inaugurazione, parlando in quella piazza Duomo che il suo rivale ha pedonalizzato, Falcomatà ha ricordato che il lockdown aveva fermato tutto e ha chiuso sulla nuova scalinata del Waterfront, che fa tanto Miami. I camioncini della spazzatura si sono dimenticati di qualche quartiere. Divisi fino alla fine, chi perderà avrà vita più facile, questo è sicuro.
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