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Trauma da schiacciamento arto superiore dx

Ho visitato tanti pazienti in 30 anni di professione, ma raramente mi è capitato di cogliere negli occhi di uno di loro la disperazione che ho visto in quelli di Ivan (nome di fantasia, ma lo chiamerò così).

Ivan è un ragazzo di 26 anni, venuto dall’Est Europa, uno di quelli che tutti etichettiamo come extracomunitari, responsabili di quel clima di paura e di insicurezza che si respira in giro per la violenza che a loro viene attribuita. Ivan invece è venuto in Italia per lavorare, e il lavoro lo ha trovato. Che importa se la paga non rispetta i minimi sindacali, se bisogna lavorare in nero, se non ha diritti. Con i soldi che guadagna può cominciare a sorridere alla vita, ad un futuro certamente più sereno di quello che avrebbe avuto se fosse rimasto in Romania, nel suo paese.

Ma il destino è beffardo e meno di 3 mesi fa, a causa di uno dei tanti infortuni sul lavoro che giornalmente avvengono in questo nostro Paese, Ivan si ritrova il braccio destro intrappolato in un nastro trasportatore alle cave. Nonostante gli sforzi dei medici, non si riesce a salvare il braccio e al nostro giovane amico rimane solo un piccolo moncherino che pende dalla spalla. 26 anni …. e la sua disperazione l’ha riversata su di me con quello sguardo che mi ha puntato addosso in occasione della prima visita. Era uno sguardo che esprimeva l’angoscia di un ragazzo di 26 anni, venuto in Italia per realizzare un sogno, la cui vita è cambiata improvvisamente in un attimo e che chiedeva aiuto ad uno sconosciuto, io, che in quel momento rappresentavo l’istituzione che ai suoi occhi lo avrebbe certamente aiutato.

Questo accadeva una quarantina di giorni fa. Oggi ho chiuso l’infortunio ed ho mandato Ivan a lavorare. E’ ovvio che Ivan a lavorare non ci tornerà, ma ho preso lo stesso la decisione e l’ho fatto per aiutarlo. I paradossi delle garanzie. L’INAIL contribuisce ad integrare lo stipendio di Ivan, quello che versa il datore di lavoro. Ma il datore di lavoro sembra che non dia nulla ed Ivan e la sua compagna, con una bambina, sopravvivono con 500 euro al mese. Chiudere l’infortunio vuol dire valutare i postumi permanenti e far partire rapidamente l’erogazione della pensione di invalidità. E qui le regole, che ovviamente vanno rispettate, dimostrano quanto possa essere sbagliata la loro applicazione letterale, rigida, senza alcuna possibilità di gestire il caso singolo. L’entità della pensione viene calcolata sulla base della retribuzione (ma Ivan prende ufficialmente poco di stipendio, il resto, a suo dire, è in nero), varia se l’infortunato è sposato o meno (Ivan convive), se ha figli o no (la figlia è della compagna, non di Ivan), sul grado di invalidità: le tabelle di legge dicono che, se perdi il braccio destro la tua invalidità è del 55-60%! Alla fine Ivan verrà risarcito, ma equamente? E meno male che, nonostante tutto, in Italia c’è l’INAIL, istituto che speriamo rimanga pubblico il più a lungo possibile; cosa accadrebbe ai tanti Ivan che giornalmente affollano i nostri ambulatori, se dovessimo ragionare come una qualunque assicurazione privata?

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