Un fazzolettone ritrovato

Ho iniziato il cambio di stagione e, in fondo ad uno scatolone, ho ritrovato la mia vecchia divisa scout, con il fazzolettone ed il guidone della squadriglia Antilopi del Reparto Aspromonte del RC1, di cui sono stato il capo nel lontano 1974. E’ bastato a scatenare un turbinio di ricordi che ha attraversato la mente ed ha proiettato su un ipotetico schermo quindici anni di vita associativa, iniziata nel 1970. Fu mia madre a spingermi verso gli scout, ma io non ne volevo sapere; non capivo perchè andare assieme a quei ragazzetti vestiti tutti uguali con una divisa banale e con quei fazzoletti strani attorno al collo. E poi la domenica dovevo giocare, avevo il campionato con la mia squadra di calcio di allora. Resistetti un paio d’anni finchè un caro amico, Piero, mi convinse a seguirlo in questa grande avventura. E’ stato l’inizio di un lungo percorso, terminato quando la lontananza da Reggio non mi ha consentito di proseguire con il mio gruppo storico, ma che idealmente ancora continua seguendo le attività dei fratelli del MASCI RC4. Nel film si sono succeduti tanti fotogrammi, tante persone, tanti episodi più o meno allegri. Ho rivisto Nicola Calipari, il mio primo capo reparto, tragicamente morto in Iraq vivendo completamente e concretamente il motto della branca R/S “servire”, Tanino, Nuccio, Mario, Celeste, gli altri capi del reparto, Enzo e don Gianni al Clan, gli amici del cuore di allora che rimangono i più cari amici di oggi, Peppe, Santo, Mimmo, Gregorio, Velia, Pinella, Daniela, coloro che hanno convissuto con noi nel cortile del Duomo, la mitica signora Tota che cuciva i fazzolettoni …. Ma su tutti si staglia, direi gigantesca, la figura di don Mimmo. Chi ha conosciuto Mimmo magari sorriderà pensando alla sua altezza fisica, che non era certo il suo carattere distintivo, ma la statura morale certamente lo colloca fra le persone più importanti e significative della mia adolescenza. I suoi mezzi di locomozione, la Vespa stra-usata con cui andava in giro in città ed il mitico Maggiolino giallo con cui all’occorrenza ci accompagnava dopo le riunioni che si tenevano a casa sua la sera tardi, quando finiva i suoi mille impegni; lo stesso con cui arrivammo a Gambarie da Cucullaro appesi da tutte le parti immaginabili e non, sui predellini laterali, sul paraurti, io ero seduto su uno dei fari anteriori: compresi i 5 passeggeri “interni” eravamo in 13 o 14 …. la sua voce roboante che ci svegliava la mattina in tenda, “Buongiorno, fiori di gelsomino rampicante”, e ci “benediceva” con il mestolo e l’acqua fredda se non uscivamo rapidamente dai sacchi a pelo …. le veglie notturne ai campi … le lunghe passeggiate-confessione nel cortile del Duomo, che era diventata la nostra seconda casa …. le arrabbiature quando riteneva che la mia scelta politica di sinistra fosse in contrasto con i principi cristiani e le nostre franche discussioni a tal proposito …. la sua immensa voglia di fare, di mettersi al servizio degli altri, di aiutare chi era rimasto indietro e la capacità di realizzarlo …. i suoi mille impegni, le giornate che sembravano non dover finire mai tanto aveva da fare. Ricordo quando iniziammo a coinvolgere nelle nostre attività i ragazzi del carcere minorile di cui lui era diventato il cappellano, la paura di non essere in grado di gestire il rapporto con loro e la gioia successiva nel capire che la nostra presenza era stata invece un ponte verso la legalità, perchè qualcuno aveva avuto fiducia in loro e questo qualcuno eravamo noi. E i fuochi di bivacco, la sua felicità nell’interpretare alcune scenette (la Santa Caterina su tutte), il suo partecipare con gioia ad attività incomprensibili e stupide per chi è fuori dall’associazione, come può essere il fuoco di totemizzazione, e subito dopo saper cogliere e spiegare con parole semplici la spiritualità più nascosta nelle pagine del Vangelo. A proposito di fuochi, c’è un canto che ancora oggi mi commuove, quello che chiude il fuoco di bivacco, “Signor fra le tende schierati”. Per me questo canto è indissolubilmente legato al funerale di Mimmo, quando lo abbiamo cantato tutti insieme attorno alla sua bara assieme al Canto dell’addio. Chi ha vissuto quei tristi giorni di febbraio del 1978 ricorderà le ultime parole dette nel delirio prima di morire, quando non faceva altro che parlare di noi, i suoi ragazzi: “mettetemi gli scarponi che devo andare sulla neve”. Abbiamo tutti pensato che fossero parole in libertà, del tutto senza senso. E poi la neve ha iniziato a cadere, a Reggio Calabria, il 15 febbraio appena si sono aperte le porte del carro funebre lungo tutto il tragitto fino all’ingresso in Cattedrale ….. Quella neve si è sciolta, ma il messaggio che ci ha lasciato Mimmo con il suo esempio è indelebiile. Grazie Signore per averci dato la gioia di incontrarlo, ma te lo sei ripreso troppo presto.

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