Viaggiando in treno: ritorno al passato

Si ritorna a Roma in treno dopo la festa di ieri sera. Festa cui ho partecipato con grande gioia per affetto, vero, verso un’amica, vera, con cui ho condiviso una buona parte della mia “strada” da ragazzo.

E’ bello sapere che, nonostante il tempo, quaranta e passa anni, nonostante la lontananza e il vedersi con il contagocce, è rimasto l’affetto di allora.

E per uno strano scherzo del destino, oggi come allora, torno a Roma in treno. Sarà una ventata di nostalgia, ma non posso fare a meno di ripensare a quando i miei mi accompagnavano alla stazione per tornare ai miei studi universitari e portavo con me, oltre i vestiti nella valigia “buona”, anche un borsone religiosamente curato con dentro conserve, salumi, formaggi, insomma i sapori di casa. In questo periodo presenza fissa erano torroni e “petrali”, residui delle abbuffate natalizie a casa. Allora si viaggiava di notte, ripartendo da Reggio in cuccetta, pronti ad arrivare la mattina presto a Roma, un taxi fino al collegio per scaricare le valigie e poi all’Università, in tempo per l’inizio delle lezioni. Oggi si viaggia veloce, con le “Frecce”. E si viaggia di giorno. Si riesce ad ammirare il profilo della costa calabrese, le onde che si frangono sugli scogli, le spiagge vuote d’inverno, lunghe, sporche, con i detriti che il mare ha riportato a terra; ci si rende conto di quanta forza abbiano avuto le onde, misurando la distanza fra il bagnasciuga odierno e la linea dei detriti. E siccome questa martoriata Calabria è capace di stupirti fino in fondo, nel rosso di un infuocato tramonto riesci ad intravedere il profilo dello Stromboli, la più settentrionale isola delle Eolie, sormontata da un esile pennacchio di fumo, indice di attività vulcanica. E lo fissi come un bambino fissa il suo gioco preferito che vorrebbe ricevere dalla Befana, estasiato, ad imprimerlo nella memoria, come fosse la prima volta che lo vedi. Ma il treno corre ed il sole tramonta veloce, per cui presto la meraviglia non è più visibile.

E ti guardi intorno, per ingannare il tempo. Sono in un settore del treno di soli giovani: a parte me, che faccio corsa per mio conto, il più “anziano” potrà avere al massimo 30 anni. E mi ci rivedo, nel loro sguardo triste rivedo la mia tristezza nel partire, nell’abbandonare le mie radici. Non uno che sorrida, incredibile. Quasi tutti sul cellulare, a riguardare foto, a chattare su WhatsApp; qualcuno cerca di dormire ed una ragazza ha preso un libro per studiare. Non sono riuscito a vedere il titolo, ma capisco che sta studiando perchè sottolinea alcune frasi o le pone in risalto con l’evidenziatore. I miei libri erano un fiorire di colori diversi: penna rossa (nozioni fondamentali), penna blu (elementi di raccordo), evidenziatore giallo (nozione importante) che, se accompagnata dalla sottolineatura rossa, era un concetto che doveva essere assolutamente assimilato. 
Quanti di questi ragazzi torneranno? Quanti, come me, rimarranno fuori?

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Vigliaccamente ho scelto la strada forse più facile, studiare fuori, formarmi, non tornare, non costruire. Per certi versi ammiro e un po’ invidio i miei amici che, rimasti a Reggio, cercano di mettere in pratica le nostre aspirazioni di allora che, ancora oggi, sono del tutto ideali. Mi sento partecipe delle loro battaglie, li applaudo quando mi raccontano o leggo di quel che fanno con il movimento “Reggio non tace” di cui molti sono parte attiva. Ma sono a Roma, non sono soggetto alle pressioni che ricevono, ho paura per alcuni di loro che sono sovraesposti in una realtà che deve fare i conti giornalmente con la ‘ndrangheta.
Chissà, magari un giorno tornerò per “restare”, per costruire qualcosa di nuovo, per ripercorrere con loro un’altra parte del mio sentiero

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